Nella giornata di ieri il Presidente del Repubblica Giorgio Napolitano ha utilizzato il sito web del Quirinale per rispondere a due cittadini che gli avevano scritto a proposito della spinosa questione del decreto interpretativo sulle liste elettorali. Si tratta di una scelta comunicativa nuova e di grande spessore.
Il Presidente avrebbe potuto certamente comportarsi diversamente, utilizzando i canali usuali a sua disposizione, affidando i suoi pensieri ad un usuale comunicato stampa poi ripreso dalle agenzie, dai telegiornali e dai quotidiani del giorno successivo. Invece ha deciso di pubblicare una replica sul suo sito web citando due delle centinaia di mail ricevute e dando risposta ai dubbi che quelle missive contenevano.
Far discendere la comunicazione da Internet verso gli altri media è una scelta di grande discontinuità per molte ragioni. La prima è che un simile comportamento accentua il legame personale fra chi scrive e chi riceve. La risposta di Napolitano è, prima di ogni altra cosa, un messaggio diretto ad Alessandro Magni, preoccupato che il Presidente possa firmare il decreto, e a M. Cristina Varenna, cittadina lombarda che chiede invece di poter votare per chi la possa rappresentare.
La comunicazione personale è importante perché intanto è possibile. Una scelta del genere spezza quel diaframma di comodo che molti imputano alla comunicazione elettronica secondo il quale la grande quantità dei messaggi che aziende, politici, star della TV ecc ricevono esclude in sé la possibilità che a tali richieste possa essere data risposta autentica. Troppa comunicazione, uguale nessuna comunicazione, insomma, in un sillogismo furbetto che esenterebbe molti dei soggetti coinvolti dal preoccuparsi di dar segno di sé.
Anche nel momento in cui, come in questo caso, due mail fra le tante vengono utilizzata come esempio capace di comprendere i punti di vista di molti, il metamessaggio contenuto nella risposta del Presidente è che parlarsi è possibile, che ad una azione può seguire una reazione, anche se dalla parte del filo c’è il Presidente della Repubblica.
Ovviamente esiste una interpretazione meno entusiasmante di eventi simili. Quella secondo la quale il fulcro del problema con le nuove tecnologie di comunicazione sia quello di saperle dominare, piuttosto che utilizzarle con semplicità ed immediatezza. Traduzione: quello di Napolitano è un messaggio esattamente identico a quelli cui eravamo abituati (vale a dire un messaggio verticale che scenda dai piani alti a quelli bassi) ma declinato e pesato per i nuovi strumenti oggi disponibili.
Il secondo aspetto importante di una scelta del genere è che il Quirinale, per lo meno nei confronti dei tanti cittadini che utilizzano la Rete per informarsi, salta il filtro interpretativo dei media. Non li esautora ovviamente dalla possibilità di “utilizzare” le parole del Presidente come meglio credono, ma traccia una linea netta fra informazione ed opinione. Sembra un aspetto poco rilevante ma non lo è: significa ridimensionare una centralità dei mediatori dell’informazione che molto spesso ha in questo Paese declinazioni opache e discutibili. Quello che ha detto il Presidente è raggiungibile all’indirizzo web tal dei tali, chiunque può controllare, il resto è interpretazione.
Disintermediare le notizie non è cosa da poco perché molto del potere dei media oggi deriva dalla loro capacità di farsi interpreti di un punto di vista. È sufficiente andare in una edicola ed acquistare quotidiani differenti per trovarvi raccontati universi lontanissimi, pur riferiti alla medesima notizia. Gli avvenimenti nascono sui media già fortemente intossicati dal desiderio di interpretazione che è oggi uno dei pochi valori economici residui della stampa. Il lettore esiste ormai sono nella sua accezione di “tifoso” al quale, tutto sommato, non interessa troppo sapere se il centravanti ha segnato con la mano, a patto che la partita sia stata vinta.
Dentro questa discutibile etica informativa ai cittadini che desidererebbero sottrarsi da tale scempio, restano solo due possibilità: moltiplicare le fonti partigiane opposte per tentare una complessa ricostruzione dello scenario, oppure affidarsi in prima ipotesi ai soggetti che accettano di parlare con loro direttamente, fuori dalle dinamiche della informazione mainstream. Ma anche in questo caso va osservato che, per esempio in ambito di comunicazione politica, le scelte di entrambi gli schieramenti continuano ad essere spesso scelte convenzionali. È possibile seguire su Internet, visto che ormai è tecnologicamente banale, i comizi dei principali candidati, ma resta difficile se non impossibile ottenere attenzioni individuali, risposte personali a quesiti personali, come invece la Rete consentirebbe.
Molti politici in eccitazione da prossime elezioni sbarcano su Twitter o su Facebook, ma nella grande maggioranza dei casi lasciano dietro la tastiera uno stagista oppure, nel migliore dei casi, appaltano a una società di esperti il servizio. Nei casi di maggiore onesta dietro ai messaggi politici verso la Rete c’è un impersonale Noi, negli altri c’è un Io fittizio e un po’ ridicolo e comunque incapace di qualsiasi feedback autentico. Eppure non sarebbe difficile consigliare a Bersani o a Berlusconi di dedicare un’ora al giorno a rispondere personalmente agli stimoli provenienti dalla Rete, piuttosto che accrocchiare inutili social network o ridicoli profili sulle piattaforme sociali.
Per questa ragione la scelta del Presidente della Repubblica va accolta con l’entusiasmo un po’ ingenuo che riserviamo alle belle novità. Perché racconta di una Rete nella quale, a dispetto dei santi, il tono e il punto di vista della singola persona vale assai di più di qualsiasi misurato e professionale comunicato stampa. Una misura ed una professionalità delle quali ormai non sappiamo più che farcene.
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