“Per i primi dodici mesi tutto gratuito. Dopo scatta la fregatura”. Ho ricopiato questa frase da uno dei tanti siti Web italiani che rilanciano la notizia del passaggio a pagamento di Whatsapp, piccola fortunata applicazione di messaggistica molto utilizzata in tutto il mondo, perché la notizia merita un commento.
La fregatura, intanto, è un canone annuale di 0,79 euro, proditoriamente applicato dalla società agli utenti Android (gli utenti IOS erano già stati violentati dai capitalisti del software al momento del download attraverso il pagamento una tantum di 89 centesimi). Non è chiaro – io leggendo le cronache di questa vicenda ridicola non l’ho capito – se il canone annuale sia una recente idea degli sviluppatori o, come sostengono altri, sia sempre esistito e qualcuno se ne sia accorto oggi, visto che tale obolo scatta dopo un anno di utilizzo gratuito. Tutto sommato non è così importante.
Più interessante notare che la rivolta degli utenti, imbufaliti per il tradimento di Whatsapp, è una rivolta molto italiana (non se ne trova traccia nelle cronache tecnologiche di altri paesi, dove di Whatsapp si parla estesamente in questi giorni in merito ad alcune questioni di privacy che la riguardano) probabilmente indotta dall’amplificatore potente e un po’ cialtrone di una certa informazione tecnologica italiana che, quando non sa di cosa scrivere, va alla ricerca di qualche commento di protesta in Rete su un qualsiasi argomento e titola immediatamente “il web insorge”.
Così accade questa cosa un po’ magica per la quale se un sito Web informativo con qualche autorevolezza scrive che il Web insorge, poi, come in certe profezie automagiche, va a finire che il Web insorge veramente ed i forum ed i siti Web si riempiono di commenti sulla grande fregatura, sull’insopportabile tradimento, sulla decadenza ormai irrefrenabile della rete libera che si fa a pagamento nelle mani dei soliti squali senza scrupoli.
Che tutto questo riguardi un canone annuo di meno di un euro, una cifra mensile di circa 6 centesimi di euro (l’esborso giornaliero calcolatelo voi) sembra non essere di freno alla grande protesta che, basata com’è su sacre questioni di principio, si disinteressa della contingenza delle piccole cose. Il popolo del Web ha subìto un affronto e come accade sempre per i grandi temi di libertà e giustizia si è immediatamente mobilitato.
Per uscire un istante dal sarcasmo inevitabile che una simile vicenda suggerisce il quadro sembrerebbe essere questo: abbiamo una non notizia, figlia probabilmente di una modesta curiosità giornalistica, abbiamo una camera di eco nota e pericolosissima dentro la quale qualsiasi scemenza diventa evidenza inconfutabile e viene replicata ad libitum fino a diventare patrimonio comune, abbiamo infine una seconda ondata informativa che su questo castello in aria si fa forza per giustificare il nuovo necessario racconto giornalistico. Questo Contrappunti, ahimé, fa parte di questo terzo gruppo.
Mentre gli arrabbiati utenti italiani di Whatsapp si organizzano per boicottare il servizio si scatenano le solite grandi discussioni sulla gratuità in Rete, sulle cattive abitudini ed i modelli di business che assomigliano ogni giorno di più a certi tavoli a tre gambe, su una utenza di rete abituata ad essere blandita e riverita, la cui unica moneta di scambio accettabile sembra essere il baratto dei propri dati personali. Si tratta certamente di temi interessanti sui quali discutere. Però non oggi, magari un’altra volta. Perché il tema di oggi è il corto circuito provinciale fra una cattiva informazione che riferisce il proprio lavoro verso sé stessa ed i meccanismi di amplificazione che Internet consente.
Sono entrambi – a ben guardare – temi culturali di discreta importanza. Da un lato il giornalismo e la sua pigrizia, capace di pescare nel grande mare dell’irrilevanza in Rete come una volta si faceva nelle chiacchiere delle comari di paese, dall’altro un popolo di lettori senza grandi curiosità, che le reti sociali hanno abilitato alla istantanea condivisione di qualsiasi cosa. Entrambi questi aspetti fanno parte di uno scenario di maturità tecnologica che può essere ben riferita all’Italia e che racconta una sorta di cifra peninsulare all’approccio informativo in rete. È una cifra modesta e un po’ deludente. Perfino meno di 0,79 euro all’anno.
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