È passato poco più di un anno dal primo Barcamp, tenutosi a Palo Alto nell’agosto del 2005, eppure come spesso accade in rete, le belle idea mostrano da subito gambe lunghe e svelte. Secondo Wikipedia, di BarCamp ne sono stati fino ad oggi organizzati parecchi, in 31 città del mondo. Cos’è un BarCamp e perché mai ne parliamo oggi? Volendo sintetizzare BarCamp è la rivisitazione internet di una conferenza: un incontro dal vivo, aperto a chiunque abbia comunicazioni da tenere e desiderio di ascoltare, organizzato di solito in tempi molto ristretti, attraverso un wiki che fa da lavagna degli iscritti e degli argomenti che verranno trattati. Ne parliamo oggi perché sabato scorso si è tenuto, con grande successo, il primo Barcamp italiano organizzato a Milano, nella sede dell’editore Apogeo (che ha gentilmente fornito ospitalità e connessione), da Riccardo Bru Cambiassi, blogger ormai di stanza a Londra, e da alcuni amici.
Sono molto in voga, da qualche anno a questa parte simili “non-conferenze”, traduzione forse migliorabile del corrispettivo inglese “unconference”, incontri pubblici direttamente gestiti ed organizzati dai partecipanti, con strette attinenze simboliche e concettuali con l’universo Open Source. E tuttavia, anche tentando di allontanarli di qualche metro dall’ambito tecnologico e geek nel quale sono nati, questi meeting orizzontali, senza le gerarchie note dei “relatori” da un lato e del “pubblico silenzioso” dall’altro, mantengono intatto il loro fascino ed anzi, forse proprio in questo clima di condivisione risiede la ragione del loro successo.
Il BarCamp milanese, per quello che è possibile leggere in rete nelle trascrizioni e nelle testimonianze audio e video, è stato un incontro nel quale si è parlato di tutto: di programmazione come di cucina, di arti marziali come di sociologia dei cellulari. Chiunque ha potuto esporre il proprio punto di vista in un incontro che ha riunito blogger, programmatori, giornalisti, docenti universitari, esperti di marketing e semplici utenti della rete Internet, alla ricerca di nuovi percorsi comunicativi.
Quelle che Dave Winer chiamava un tempo (si riferiva ai blog ma la definizione ci fa comodo pure qui) “come as you are conversations” oggi ci consentono di immaginare una alternativa percorribile al colosso della comunicazione gerarchica, la più utilizzata modalità di scambio in ambito scientifico, accademico e divulgativo che la nostra società abbia fino ad oggi concepito: quella di un palco dal quale un “esperto” spiega alla platea come va il mondo.
Poiché il mondo, come tutti noi ogni giorno sperimentiamo, non sempre va in direzioni precise e quasi mai in quelle indicate dagli esperti, il BarCamp milanese, seguendo una filosofia di base di tutti i Barcamp che lo hanno preceduto, è stato, prima di ogni altra cosa, una colossale bacheca di foglietti nei quali erano appuntati orari ed argomento (in rapida mutazione) delle varie comunicazioni.
Nelle cinque sale del convegno si sono succeduti ed accavallati un numero molto alto di incontri, tutti della durata massima di 30 minuti, in gran parte caratterizzati da un naturale scambio di punti di vista fra relatori e partecipanti.
Narra la leggenda che il primo Barcamp sia nato come reazione ad una analoga “non conferenza” che ogni anno Tim ÒReally, noto editore californiano di testi informatici, organizza radunando esperti della rete ad un incontro solo su invito. Chiunque oggi sul wiki di BarCamp può invece organizzare la propria personale “non conferenza”, chiunque può decidere di partecipare e di seguire i “talk” dei vari relatori se li troverà di proprio interesse.
Girano in questi giorni voci di un secondo prossimo BarCamp italiano (sembra organizzato da Mafe De Baggis in un agriturismo toscano) e questa volta, cascasse il mondo, dovrò riuscire ad esserci.
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