“Google, come lei sa, ha una ben noto passato di violazioni dei diritti alla privacy dei cittadini americani” .
Questo è uno dei passi iniziali di una email che una famosa società di pubbliche relazioni americana, la Burson-Marsteller, ha mandato a Christopher Soghoian , blogger che si occupa di tematiche legate ai temi del diritto alla riservatezza. Nella email l’agenzia si offre di aiutare il blogger a scrivere un post sul tema delle violazioni di Google alla privacy dei suoi utenti e fornisce una serie di dati utili a meglio comprendere il tema. Il pezzo, secondo i suggeritori, sarebbe poi stato pubblicato in rete su siti molto importanti come quello del Washington Post , Politico , Huffington Post e altri.
Lo stesso “aiutino” su Google cattiva, i PR di Burson lo hanno proposto ad alcuni giornali americani come USA Today e a chissà quanti altri soggetti a vario titolo in grado di diffondere simili notizie sui media.
È molto probabile che non si tratti di una eccezione ma di una modalità informativa leggermente deplorevole che, dal vecchio mondo delle notizie di carta, dove i bisbigli più o meno interessati hanno fatto molta storia del giornalismo, viene adattata ai nuovi media. E viene in mente Rossini che oggi Contrappunti vuole citarvi (dal I atto del Barbiere di Siviglia ) perché mi pare si adatti benissimo al contesto:
La calunnia è un venticello
Un’auretta assai gentile
Che insensibile sottile
Leggermente dolcemente
Incomincia a sussurrar.
Piano piano terra terra
Sotto voce sibillando
Va scorrendo, va ronzando,
Nelle orecchie della gente
S’introduce destramente,
E le teste ed i cervelli
Fa stordire e fa gonfiar.
Calunnia o non calunnia, la storia è diventata di dominio pubblico perché Soghoian prima ancora di entrare nel merito delle informazioni gentilmente accluse alla email ha chiesto lumi su chi fosse il mandate di una simile operazione e poi ha pubblicato in rete le email. Inoltre USA Today ha semplicemente fatto il lavoro che i giornalisti dovrebbero fare in questi casi: ha intrapreso ricerche autonome sui temi suggeriti e, una volta appurato che non c’era nulla di troppo interessante, ha deciso di rendere nota la vicenda.
Alla fine Facebook – come Punto Informatico ha ampiamente raccontato nei giorni scorsi – ha pubblicamente ammesso di aver incaricato la società di PR (che nel momento dello scoppio del caso ha rapidamente stracciato il contratto) per diffondere notizie sui rischi legati all’utilizzo di Google Social Circle . L’effetto complessivo è stato opposto a quello auspicato, sia per Facebook che per Burson-Marsteller, e probabilmente decuplicato.
Perché una cosa sono i sussurri ed i suggerimenti interessati ai tempi della carta stampata, quando l’accesso alle informazioni era fortemente contingentato e i giornalisti (e gli editori) erano il filtro assoluto alle notizie da rendere di dominio pubblico, un altro è l’utilizzo di simili mezzucci ai tempi del libero accesso agli strumenti informativi. Un’epoca in cui se Facebook ritiene che Google violi palesemente la privacy degli utenti, ha modo e maniera per comunicarlo al mondo intero, nello stesso interesse degli utenti, nel giro di pochi minuti.
Ovviamente qui siamo nel caso tipico del bue che dà del cornuto al toro (non all’asino) visto che sia Facebook che Google esistono e guadagnano denaro in Rete utilizzando le informazioni gentilmente messe a loro disposizione dagli utenti e per fare questo devono talvolta sottoporsi a certi dolorosi (per gli utenti) compromessi.
E la morale di questa storia non può nemmeno essere quella della fine di un candore così spesso affermato un po’ da tutti e quasi mai applicato. La retorica della rete Internet che obbliga le aziende ad essere trasparenti è deceduta credo alla fine del secolo scorso.
Piuttosto il tema mi parrebbe essere quello di una presa di coscienza, cinicamente diffusa e condivisa, del fatto che Internet non è di per sé il garante di niente. Che le cattive pratiche erano possibili e frequentate prima come lo sono ora, anche se oggi è forse più facile smascherarle, che i salvatori della patria lo erano solo talvolta prima e lo sono solo talvolta oggi. E che insomma “la maldicenza insiste e batte la lingua sul tamburo” – per finire questo Contrappunti così denso di citazioni – ed il suono che ne esce è sempre il medesimo suono. Che non ci piace, che non vorremmo ascoltare, ma che è comunque impossibile ignorare.
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