Roma – Proviamo ad immaginarci lo scenario che ci attende fra qualche anno.
Perchè la notizia di questi giorni, che alletterebbe la fantasia di qualsiasi futurologo dei media, è che il numero di lettori della edizione online del New York Times ha superato quello delle copie vendute del giornale cartaceo. L’immagine sembra essere quella di certe regate: una enorme boa arancione annuncia la virata di metà percorso.
In realtà l’informazione professionale in rete deve ancora capire bene come sarà da grande. Questi numeri straordinari, che significano certamente successo ed attenzione per le notizie di qualità trasmesse attraverso Internet (più di un milione di persone ogni giorno consulta le notizie del NYT online), sono anche il risultato, in gran parte casuale, di una navigazione a vista che dura ormai da un decennio.
Senza addentrarci troppo nei particolari, l’unico modello fino ad ora emerso di editoria professionale che funzioni in rete rimane quello basato sull’assioma “contenuti in cambio di pubblicità”. Una volta citata la solita eccezione del Wall Street Journal che, forte dei suoi 700.000 abbonati, rimane l’unico esperimento riuscito di un grande giornale che riceve l’attenzione dei suoi lettori anche in rete, e dato conto dei trascurabili risultati economici di diverse iniziative collaterali (per esempio la consultazione a pagamento degli archivi storici o gli abbonamenti alle versioni elettroniche di molti quotidiani cartacei anche in Italia) quello che colpisce maggiormente è che gli investimenti pubblicitari in rete, pur in discreto aumento negli ultimi due anni, rappresentano solo il 3% del mercato complessivo. Il che è abbastanza paradossale se si considera che i navigatori di Internet spendono un tempo sempre maggiore cercando e leggendo le notizie direttamente dal PC piuttosto che attraverso altri media.
Lo spostamento dell’attenzione dei lettori dalla carta e dalla TV verso Internet è, comunque la si guardi, una buona notizia. Una opportunità futura di buoni affari per gli editori ma anche, e soprattutto, una scelta di alto profilo per i lettori stessi. Sebbene la spiegazione dominante di questo interesse verso l’informazione in rete sia quella secondo la quale la notizia su Internet piace perché è gratuita, le ragioni fondanti sembrano essere invece altre.
L’idea stessa, tante volte ripetuta della gratuità di Internet (e perciò, in funzione di questa anomalia rispetto all’economia reale, le difficoltà che da questo derivano) è già essa una specie di difetto di orientamento. Come dire che abbiamo superato la boa di metà percorso ma non abbiamo ancora capito su che barca siamo.
Oggi un editore che pubblica su Internet o è li per caso (e accade spesso) oppure sa bene che quello è “il” luogo della comunicazione. Ciò che solo un decennio fa non era, oggi è, indipendentemente dai nuovi orizzonti anche economici che da tutto ciò discendono. Si può decidere, come hanno fatto in tanti, di negare questa centralità della rete nella elaborazione dei processi informativi, rifugiandosi nel proprio universo conosciuto dei lanci di agenzia, degli ordini professionali, del pagamento un tot a copia di ogni foglio inchiostrato che esca dalle rotative. Della notizia di oggi raccontata sul numero di domani. Ed è un atteggiamento comprensibile visto che, come tutti, gli editori sono soggetti con un bilancio da far quadrare a fine anno e della sociologia della comunicazione (che sono spesso belle parole e pochi soldi) devono poter fare a meno, specie se ad un tipo di entrate le teorie non ne sostituiscono subito un altro.
Ma non si può negare che dopo la nascita di Internet l’informazione muta e prende direzioni imprevedibili perché si amplia in misura considerevole il numero dei soggetti in grado di farla. Una specie di cancello che infine si apre. A tutto ciò, come è evidente, non è possibile opporsi in alcuna maniera.
Ancora una volta, fuori da una logica superficiale e facilona, gli editori dovrebbero considerare questa apertura come un valore e non come una iattura. Che giornali fantastici possono fare oggi grandi giornalisti di grandi editori in rete? Che feedback fenomenali possono nascere fra chi scrive o commenta con competenza le notizie ed i suoi lettori? Che aumentata capacità di analisi e di comprensione dei fatti può discendere dalla presenza di così tante voci liberamente disponibili?
Se una delle funzioni principali della stampa professionale è sempre stata (nel bene e nel male) quella del cosiddetto filtro giornalistico (una attività di discernimento fra ciò che vale la pena pubblicare e cosa invece no), quale ambito migliore per questo lavoro di Internet per dimostrare agli altri la propria capacità professionale?
Non c’è alcuna ironia in quello che sto scrivendo. Sono persuaso che Internet possa rendere migliore il lavoro di chi fa informazione, arricchendolo di stimoli e punti di vista. Così come sono certo che noi lettori sapremo vedere bene la differenza e godere di tutto ciò.
Capiremo forse solo più avanti come tutto ciò sarà economicamente sostenibile (so per esempio che l’editore di questo giornale si scervella da anni al riguardo) ma quello che è certo è che Internet, per quanti vogliono fare informazione ai tempi nostri, è “il” luogo in cui farla. Così come non è difficile immaginare che tutti gli altri luoghi della informazione saranno nel tempo destinati, per ragioni banalmente tecnologiche, a perdere la loro attuale centralità.
Qualsiasi cosa accada in questa seconda parte della regata, per noi lettori sarà importante tenere gli occhi aperti. E se, come si dice in giro, la diffusione del pensiero, delle notizie e della cultura danno spessore a concetti importanti e (per me) difficili da maneggiare come “democrazia” e “liberta”…… bè insomma, avete capito, magari con lo spostamento della informazione in rete quello che ci attende è semplicemente un mondo migliore.
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