La frase centrale, quella che spiega tutto e manda tutti a casa, è scritta a pagina 10 della sintesi del rapporto del Censis sulla comunicazione intitolato “L’evoluzione digitale della specie”. Così in quel testo dopo una manciata di pagine è possibile leggere:
“Gli strumenti di informazione preferiti tra i giovani d’età compresa tra i 14 e 29 anni sono i telegiornali (ma solo il 75 per cento)”
C’è qualcosa di estremamente consolatorio il quel “solo” che i ricercatori dell’Istituto hanno voluto aggiungere a quel numero. Tre giovani su quattro, in Italia nel 2013, utilizzano come prima fonte informativa i telegiornali ma sono “solo” il 75 per cento, perché nelle restante fasce di età le percentuali di affezionati dei TG salgono ulteriormente a numeri oltre il 90 per cento (il 92,8 per cento degli over 65).
Forse se abitassimo in Papuasia potremmo leggere questo dato con qualche residua condiscendenza verso uno strumento informativo che resta molto importante, ma abitiamo in Italia ed abbiamo una idea piuttosto precisa di cosa siano i telegiornali in questo Paese, di quale sia il livello informativo che offrono e quali i temi che in genere decidano di trattare, di quale sia il destinatario del messaggio che ogni giorno propongono e di quale sia, in definitiva, la loro qualità.
Che tre giovani su quattro nel 2013 decidano di continuare ad accordare loro una preferenza informativa tanto ampia, giovani che nel frattempo hanno conosciuto Internet che frequentano in massa (oltre il 90 per cento di loro è online quotidianamente) dal mio punto di vista può significare solo una cosa: che le giovani generazioni di questo Paese pensano che l’orrido panino di stantia politica nazionale, tragedie e gossip che la televisione pubblica e privata confeziona ogni giorno è, a tutti gli effetti, l’informazione di cui hanno bisogno.
Molti altri numeri del Rapporto Censis corroborano, e non da ieri, questa indicazione di massima: i quotidiani cartacei hanno perso dal 2007 al 2013 oltre il 20 per cento dei lettori, i quotidiani online, nel frattempo, dal 2007 ad oggi, vivacchiano attorno al 20 per cento di audience, con una crescita dello 0,5 per cento rispetto a un anno fa e un calo dello 0,3 per cento rispetto al 2007. In altre parole alla crisi verticale della informazione cartacea non si è sostituito alcunché, la discesa in massa degli utenti italiani su Facebook non ha causato alcun effetto significativo sullo spostamento verso la Rete delle nostre esigenze di informazione: perfino il dato grezzo del numero di italiani connessi a Internet dopo un aumento di quasi il 10 per cento avvenuto fra 2011 e 2012 mostra ora un evidente rallentamento con percentuali di incremento attorno all’1 per cento annuo.
È accaduto che la grande crisi della stampa cartacea non abbia scavato alcun nuovo spazio informativo: con i giornali di carta sono scomparsi i lettori di notizie, gente che ha semplicemente smesso di informarsi, oppure giovani che sono cresciuti decidendo che per loro le relazioni di Rete potevano vicariare l’informazione professionale. Di sicuro l’accesso a Internet di molti italiani avvenuto negli ultimi anni non ha indotto alcun nuovo rinascimento informativo, semplicemente la gente è scesa in Rete (per la verità senza grande entusiasmo) e lo ha fatto per fare altro.
Questa è una notizia triste che tendiamo a sottolineare il meno possibile e che molti vorranno correlare alla qualità media dell’informazione in Rete; lo stesso errore di prospettiva che anche noi tendiamo a fare nel momeno in cui osserviamo con orrore che il TG continua ad essere la prima fonte informativa di gran parte dei nostri ragazzi. Del resto gli argomenti per criticare aspramente la qualità dell’informazione in Rete sono altrettanto solidi e di facile presa, solo che non potranno essere granché utilizzati per spiegare un fenomeno complesso che per una volta ha motivazioni semplici e chiare.
Perché i nativi digitali guardano il TG1 o il TG5? Per la stessa ragione per cui la vendita dei libri in Italia, un Paese che quanto a lettori di libri è già in fondo a tutte le classifiche internazionali, dal 2007 al 2013 è ulteriormente scesa del 7 per cento. Pubblichiamo solo brutti libri e gli italiani, sapendolo, non li acquistano? I siti Web informativi italiani sono di scarsa qualità e decidiamo di non leggerli? È evidente che la risposta precede e anticipa simili valutazioni: non leggiamo e non ci informiamo e lo facciamo sempre meno perché non vogliamo farlo. Non ci interessa. Quelli che pensavano che Internet sarebbe stata la soluzione, beh, si sono sbagliati.
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