Più o meno silenziosamente i siti web dei grandi quotidiani italiani sono sbarcati su Facebook. Repubblica , Il Corriere della Sera , Il Sole 24 ore e La Stampa hanno oggi una propria pagina sul più frequentato social network mondiale. La parte del leone la fa la pagina de La Repubblica che “piace” a oltre 130 mila persone (come è noto da qualche settimana le pagine dei “fans” hanno cambiato denominazione e sono diventate pagine”mi piaci”), gli altri editori seguono, per adesso a discreta distanza.
Le ragioni di questo sbarco su Facebook dell’editoria digitale sono semplici e ragionevoli. Ormai quasi la metà degli utenti italiani della Rete ha un profilo da quelle parti: di questa marea di persone non poche concepiscono Facebook come propria principale interfaccia di rete, limitando al massimo le proprie scorribande fuori dalle quattro mura tranquillizzanti del social network creato da Mark Zuckerberg. La montagna degli editori quindi, prende e va da Maometto, anche se il risultato di un simile tentativo è comunque di modesta qualità.
L’offerta contenutistica è infatti limitata e parzialissima. Sulla pagina Facebook di Repubblica vengono mediamente aggiunti quattro o cinque articoli ogni giorno (brevi rimandi di alcune righe che linkano l’articolo originale sulla pagina web del giornale), più o meno lo stesso fanno anche gli altri (il Corriere della Sera è più parco e linka non più di un paio di articoli al giorno) sempre nelle medesime modalità: niente testi completi, solo brevi riassunti che rimandano al sito web. L’intento è evidente: raccogliere traffico da Facebook sia direttamente sia attraverso la condivisione dei contenuti proposti sulla rete sociale degli utenti.
Spesso le note su Facebook dei grandi quotidiani si riempiono di commenti ma nessuno nelle redazioni sembra occuparsene: non esiste alcun tentativo di dialogo in un luogo dove ogni strumento disponibile inviterebbe alla condivisione ed allo scambio informativo. Le sezioni fotografiche delle pagine sono semideserte e piuttosto tristi (il sito de La Stampa offre per esempio un vibrante set fotografico della visita di Vasco Rossi in redazione); la sezione informativa, quella nella quale si dovrebbe spiegare come e perché si è sbarcati su Facebook, sono il regno del copia-incolla di vaghi proclami aziendali.
Facebook e gli altri ambiti sociali in rete non sono del resto molto adatti a simili esperimenti. Le “fans page” prima, e quelle “Mi piace” ora, sono esperimenti mascherati di quella contaminazione fra marketing e relazioni sociali che tanto interessa i fornitori di piattaforma, alla ricerca di una monetizzazione del proprio lavoro, e che tanto disturba gli utenti, i quali utilizzano simili servizi per collegarsi ad altre persone direttamente e senza grandi impicci. Ed è stato proprio il successo planetario di un simile atteggiamento sociale fra pari che ogni giorno cerca di trasformare Facebook in qualcosa che non è.
Oggi Facebook – ci informano moltissimi report – è il più grande archivio fotografico della rete Internet; con un po’ di fantasia si appresta a diventare il luogo più frequentato nel quale gli utenti di Internet si informano. Questo almeno secondo le valutazioni strabiche che girano in rete. A tale proposito Hitwise qualche tempo fa ha presentato uno studio secondo il quale Facebook avrebbe superato Google News in quanto a numero di contatti trasportati verso i siti di notizie.
Basterebbe un po’ di buon senso per capire che Facebook non è un abito buono per tutte le stagioni, che la fruizione delle foto e delle notizie là dentro, per l’architettura stessa del social network, non ha nulla a che vedere con un utilizzo organico e gestito delle stesse e che, in particolare per le notizie, nessuno raccoglie pezzetti di giornale a caso sparsi sul selciato per comporre il proprio panorama informativo. Più semplicemente entra in una edicola e compra un quotidiano.
La scelta degli editori italiani di scendere su Facebook, così come è stata pensata, è una decisione a costo quasi zero che chiunque al loro posto avrebbe fatto. Certo il rapporto con i propri estimatori su Facebook ne esce leggermente ammaccato, visto che nulla di sociale è previsto nei loro confronti, non un briciolo di attenzione per i punti di vista espressi dai lettori, nessuna attenzione verso la rete informativa che comunque su Facebook è possibile intercettare. Del resto una volontà del genere richiederebbe risorse umane che oggi le redazioni web dei grandi quotidiani certamente non posseggono.
Giusto ieri su Twitter girava questa breve frase di Elizabeth Stark :
“Facebook has become like aol, it’s like training wheels for the internet. it’s a safe place, except for yr privacy” ( Facebook è diventato come AOL, come le rotelle per Internet. È un posto sicuro, eccetto per la tua privacy )
America on Line (AOL) fu, ai tempi dei tempi, la palestra dentro la quale molti statunitensi impararono a conoscere e ad utilizzare le Rete. Oggi Facebook, da molti punti di vista, è una bicicletta con le ruotine che insegna, anche a milioni di italiani, le magie di Internet.
Se e quando tutte queste persone toglieranno le ruotine ed inizieranno a pedalare liberamente, Facebook smetterà di essere molte delle cose che è oggi. Ci guadagneremo tutti, tranne Facebook stessa ovviamente.
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