Roma – È qualche anno che non vado allo SMAU. Come potrete capire sopravvivo ugualmente anche se amici fidati mi hanno descritto nella appena terminata edizione 2001 la presenza di standiste con abiti davvero ridotti. Per le medesime risibili ragioni evito da qualche anno anche il Futurshow dove l’ultima volta all’entrata troneggiava una mostra di gigantesche foto di Helmut Newton. Tette, tacchi a spillo e peli pubici in sontuoso bianco e nero nello splendore del 5:1 ad introdurre lo sviluppo tecnologico del paese.
E giusto in questi giorni – sarà un caso – si levano alti i lamenti proprio del patron del FuturShow, Sabatini nei confronti del disinteresse (leggi la mancanza di finanziamenti) da parte del Comune di Bologna per l’evento “culturale” che potrebbe nella prossima edizione 2002 emigrare dalla città felsinea a Rimini.
Chi va allo SMAU oggi? Gli addetti ai lavori? Benissimo, eppure quest’anno moltissimi sono rimasti a casa: società di non trascurabile importanza quali Kataweb o Virgilio nemmeno avevano uno stand. Chi altri? Il pubblico dei teenager che vogliono vedere l’ultima console per videogames o strappare nella bolgia un cappellino o riempire un sacchettone di brochure che non leggeranno mai? Ottimo. Quest’anno SMAU secondo gli organizzatori ha fatto il 20% in meno di visitatori, molti di più secondo altre fonti.
Certo, come cantava qualcuno anni fa “fuori c’è la crisi” e tutto può essere così facilmente spiegato: i musi lunghi, le assenze, il disinteresse del pubblico pagante. Certo esistono – nel caso dello SMAU – le conferenze di contorno, eventi per addetti ai lavori dalla autorevolezza qualche volta indiscussa; altre volte meno. E poi, nel più classico topos italiano, c’è l’occasione dell’incontro: lo SMAU come luogo in cui le persone (le aziende, gli imprenditori) si trovano, si conoscono, fanno affari, stringono alleanze o consumano divorzi.
Tutto ciò per me è privo di qualsiasi attrattiva. Non impazzisco per i cappellini sponsorizzati, non farei a gomitate per ottenerne uno. Non ho contatti privilegiati da mantenere e neppure leggo le centinaia di pagine di pubblicità che mi arrivano a casa. Quanto alle lusinghe estetiche di furiose modelle seminude sparpagliate fra gli stand ammetto di non esserne immune, ma mia moglie non è per nulla d’accordo.
Quindi me ne sto, ormai da un po’ di tempo, regolarmente a casa.
Anzi il weekend in cui a Milano infuriava lo SMAU ero a Madrid per tutt’altre ragioni e sono rimasto assai impressionato nel vedere il gran numero di accessi alla rete disponibili nel centro cittadino. Internet-café certo, ma anche e soprattutto Internet point dove per 200 pesetas all’ora (poco più di 2300 lire) chiunque può navigare sul web, scrivere un email o chattare con gli amici. Il tutto dentro locali ampi e moderni con vetrate sui viali del centro, su monitor LCD, a disposizione di persone di tutte le età entusiaste e partecipi.
E sulle pagine economiche di El Pais di domenica scorsa trovo invece con qualche sorpresa una lunga e feroce disamina sui ritardi dello sviluppo tecnologico in Spagna e dove, senza mezzi termini, si scrive – citando i dati dell’Unione Europea – che il paese iberico è ancora “en el furgon de cola de la inovacion europea” . Come di fronte ad uno specchio leggo le stesse cose che diciamo da anni riferendoci al nostro paese; notizie e opinioni che con grande difficoltà raggiungono le pagine dei quotidiani italiani: su El Pais invece il presidente della commissione della Scienza e Tecnologia Perez Rubalcada parla di occasione perduta e dichiara con una concisione singolare per un politico, che gli spagnoli sono “Los primeros en discursos, los ultimos en recursos”.
Una occhiata alle tabelle dell’Unione Europea conferma come, in effetti, la Spagna sia al terz’ultimo posto negli indici di innovazione tecnologica davanti solo a Grecia e Portogallo. Una occhiata un po’ più accurata al quotidiano madrileno consente però di notare come il paese iberico non sia in solitudine “nel furgone di coda” ma divida la sua non invidiabile posizione con l’Italia. Con la piccolissima differenza che Madrid è piena di giovani che nel centro cittadino navigano in rete fra una chiacchierata e un bicchiere di birra mentre da noi ci si concentra su altro: si sperimenta il “pay per wash” sul lavaggio delle mutande o si passa il proprio weekend tecnologico a lanciare palle di gommapiuma a ragazzine seminude dentro una vasca alla Fiera della tecnologia.
Il ministro Stanca il 13 settembre scorso, al convegno di presentazione dello SMAU, ha dichiarato che prova fastidio nel leggere le statistiche degli istituti di ricerca internazionali sullo sviluppo tecnologico che raccontano un ritardo dell’Italia non solo tecnologico ma anche culturale. È difficile non essere daccordo. Le linee guida indicate dal Ministero della Innovazione sono, per la prima volta da molti anni, di assoluto rilievo. Attendiamo pazientemente che si passi dalle parole ai fatti perchè non possiamo accontentarci di una tecnologia ridotta a folklore paesano e perchè non si ripeta, per l’ennesima volta, di essere anche noi come gli spagnoli Los primeros en discursos, los ultimos en recursos.