Contrappunti/ La dura legge del troll

Contrappunti/ La dura legge del troll

di M. Mantellini - La chiusura dei commenti su Popular Science è la dimostrazione della scarsa cura degli editori per il contributo dei lettori. Una decisione antistorica
di M. Mantellini - La chiusura dei commenti su Popular Science è la dimostrazione della scarsa cura degli editori per il contributo dei lettori. Una decisione antistorica

Scrive Suzanne Labarre , direttrice di Popular Science in un post non commentabile ( qui la traduzione in italiano a cura de Il Post ) sul sito Web della storica rivista scientifica americana che da ora in avanti gli articoli del sito non saranno più commentabili. Secondo Popular Science lo spazio dei commenti è in questi anni diventato il luogo centrale della critica antiscientifica e come tale, ostacolo alla missione stessa del giornale, quella di occuparsi di temi di interesse generale con il rigore e la neutralità del metodo analitico.

Si tratta dell’ultimo episodio di una rivisitazione che da qualche anno interessa l’idea stessa di partecipazione dei lettori all’ambiente informativo. Per un certo numero di anni ha prevalso, spesso in maniera automatica e poco meditata, l’idea secondo la quale il lettore attraverso i commenti avrebbe potuto, non solo partecipare ad una sorta di completamento informativo, aggiungendo elementi che l’articolista non aveva trattato o di cui non era a conoscenza, ma avrebbe anche potuto mostrare, attraverso quegli stessi strumenti di interazione, il proprio umore, la propria eventuale contrarietà o il proprio consenso. Tutto questo, si diceva, sarebbe stato un arricchimento utile a tutti.

Come tutte le idee nuove, quella dei commenti per tutti, avrebbe avuto bisogno di essere meglio declinata, per lo meno in relazione al luogo di applicazione. Un grande sito Web era infatti diverso da un piccolo giornale, una testata generalista era differente rispetto a una specialistica, più in generale una cosa erano i commenti aggiunti ad ambiti che nascevano come luoghi primariamente relazionali (pensate agli aggregatori di notizie tipo Huffington Post) un’altra erano i commenti aggiunti a riviste con una forte connotazione editoriale.

Nulla di tutto questo fu fatto e, per un certo periodo, nella massimalizzazione che riguarda spesso le nuove opzioni tecnologiche, esistevano solo due opzioni sul tavolo della discussione: commenti sì e commenti no.

Così è accaduto che eleganti siti editoriali si siano ritrovati in fondo ai propri articoli gli ululati scomposti dei troll di passaggio o che molti giornali online ad alto traffico nell’impossibilità tecnica di pre-moderare le migliaia di contributi che arrivavano dall’esterno abbiano scelto di abbandonare l’area dei commenti al proprio caotico e rumoroso destino.

Eppure non era complicato immaginare una strategia che comprendesse nella propria offerta editoriale un ruolo adeguato per i commenti: sarebbe bastato, per esempio, immaginare i commenti come un luogo nel quale i contenuti complessivi offerti dall’articolo crescono. Perché questo accada è evidente che sui siti editoriali sarebbero dovuti essere pre-moderati e pubblicati solo nel momento in cui aggiungevano orizzonte e contenuto all’articolo. Un lavoro di filtro editoriale molto complicato e sensibile che quasi nessuno ha scelto di fare. Ed è un peccato perché una quota sempre maggiore del giornalismo di domani sarà esattamente quello: filtro umano ed intelligente al pensiero della Rete.

Siamo così arrivati ai giorni nostri in cui si preferisce sparare al commentatore, sottolinearne bassezze e isterismi, che sono poi, come è evidente, isterismi e bassezze della società contemporanea e quasi mai spiacevoli complicazioni legate al mezzo utilizzato. Si preferisce, come fa Popular Science , affidarsi ad alcuni esperimenti sociologici utili a spiegare la perturbazione negativa che i commenti sono in grado di portare al contesto generale e con un procedimento del tipo bambino-acqua sporca si decide di interrompere del tutto una relazione che fino a ieri esisteva e che oggi invece ci appare come controproducente.

Siamo evidentemente nel campo del lecito e, certo, di bambini ce n’erano pochissimi e di acqua sporca a ettolitri, estrarli vivi non era semplice; ma per chi avesse a cuore la ricerca di nuovi stimoli, di piccole scintille di novità o di critiche argomentate e solide l’idea stessa di abbandonare interamente i commenti, anche e soprattutto in una prestigiosa pubblicazione scientifica, è non solo una sconfitta ma un chiaro reflusso conservatore. Perché una cosa è dire non siamo in grado di gestire il filtro informativo dei nostri maledetti commentatori, un’altra è dire i commenti non solo non aggiungono valore ai nostri articoli ma anche, per una sorta di nemesi elettronica, ne corrodono l’autorevolezza.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
30 set 2013
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