Mentre il nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio, uscito in questi giorni, costa in formato elettronico ben 26 centesimi meno della versione cartacea , Giuseppe Granieri nella sua rubrica su La Stampa traccia un quadro molto ampio ed interessanti dell’evoluzione del mercato editoriale nei prossimi mesi. Il dato che mi colpisce di più è la previsione di Mike Shatzkin, secondo cui nel giro dei prossimi 5 anni l’80 per cento della narrativa verrà letta su ebook.
Esagerazioni, forse, ed esagerata potrebbe essere considerata la scelta della scuola californiana di cui parla il New York Times . Una scuola elementare sui generis, frequentata dai figli di imprenditori della Silicon Valley, una scuola nella quale, per ironia della sorte, sono vietati i computer. L’idea è quella di far crescere i giovani figli dell’economia digitale preferendo una filosofia di insegnamento basato su attività fisica e creatività legata a lavori manuali, piuttosto che mediata dalla ingombrante ombra dei calcolatori. Non una assoluta novità, visto che, di qua dall’oceano, perfino un mio cuginetto ha frequentato a suo tempo una scuola steineriana dove diventò abilissimo nelle sopraffine tecniche del’uncinetto ben prima che in quelle legate a qualsiasi strumento tecnologico.
Grandi incertezze mediate dalla tecnologia, insomma. Gli stessi analisti e commentatori della rete Internet si sono ormai nettamente divisi in due grandi gruppi: i net-ottimisti da una parte e i net-delusi dall’altra. Ognuno di questi schieramenti intellettuali ha il proprio nutrito gruppo di sostenitori e spesso le discussioni degradano dai massimi sistemi filosofici per trasformarsi in flame su Twitter, sui giornali o sui blog. L’ultimo, quello che ha contrapposto il net-deluso Evgeny Morozov al net-entusiasta Jeff Jarvis. I due si sono affrontati in Rete, più a colpi di clava che di fioretto, a riguardo dell’ultimo libro di Jarvis da poco in libreria, testo al quale Morozov ha dedicato una lunghissima, puntigliosa ed acida recensione sulle pagine di New Republic .
Fino a ieri non sapevamo nemmeno se i cellulari che da anni con convinzione avviciniamo al nostro padiglione auricolare potessero aumentare il nostro rischio di ammalarci di neoplasie cerebrali: uno studio epidemiologico danese i cui risultati sono stati presentati qualche giorno fa, ci dice che grandi rischi in tal senso non dovrebbero essercene. C’è da chiedersi cosa sarebbe successo, in tutto il mondo, se i risultati fossero stati di segno opposto. Avremmo continuato a telefonare con la stessa noncuranza che si dedica alla liturgia dell’ultima sigaretta? Avremmo cambiato abitudini, tutti assieme, contemporaneamente?
In un modo o nell’altro la tecnologia incide sulle nostre vite e lo fa in maniera caotica e veloce. Dopo tanti anni non sappiamo ancora bene se i computer nelle scuole sono presidi indispensabili o dannosi gingilli, se Google ci rende stupidi o super-intelligenti, se dietro alle parole che leggiamo ogni giorno sui giornali e sul web si nasconda il punto di vista illuminato di un tecnologo capace di immaginare il futuro o la posizione preconcetta di un profeta di sventura a pagamento.
Nel bellissimo libro di Kevin Kelly Quello che vuole la tecnologia c’è un intero capitolo dedicato a Unabomber. È il capitolo 10 e si intitola, a scanso di equivoci, “Unabomber aveva ragione”. Unabomber, per chi non lo ricordasse, è un signore che in USA ha ucciso tre persone e ne ha ferite altre ventitré facendo esplodere 16 bombe di sua artigianale fabbricazione al solo scopo di far leggere al mondo il proprio Manifesto. Uno spostato, non c’è alcun dubbio, uno che è fuggito dal mondo per abitare in una baita senza elettricità in cima ad un monte, ma anche uno che, come scrive Kelly, su alcune cose aveva ed ha ragione.
Una frase colpisce fra quelle del Manifesto di Theodore Kaczynski detto Unabomber ed è questa:
“La tecnologia moderna è un sistema unificato in cui ogni elemento dipende da tutti gli altri. Non è possibile eliminare le parti “cattive” e conservare solo quelle “buone”.
Siccome libertà e progresso tecnologico sono incompatibili quest’ultimo, secondo Kaczynski, va abolito. La civilizzazione è insomma la fonte dei nostri problemi, non la soluzione.
Il primitivismo di Unabomber è evidentemente una strada non percorribile e in questa mancata presa di coscienza sta la pazzia dell’uomo, ma il tema della macchina e della sua centralità ormai inevitabile nella nostra società è un tema tanto centrale quanto poco abitato. Un po’ tutto nelle nostre vite, dalle scelte educative a quelle sociali e politiche dipende oggi almeno in parte da questo nuovo mostro tecnologico che ci avvolge. Non è tutta la meraviglia che sembra ad una prima superficiale impressione, non scomparirà chiudendo gli occhi.
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