Paul Boutin ha scritto per Wired un articolo sulla fine dei blog. Non che sia il primo articolo del genere. La sua tesi è che rispetto al 2004 i blog abbiano perso in freschezza e novità e siano stati sopravanzati dall’utilizzo di altri strumenti di relazione online come Twitter, Flickr e YouTube. Per sostenere questo punto di vista Boutin da un lato sottoscrive l’idea che in questi anni si sia andati incontro ad una specializzazione degli strumenti di interazione (Flickr per le foto, YouTube per i video ecc.) dall’altro celebra, con qualche superficialità, l’apologia della brevità legata ai 140 caratteri di Twitter, come se essere concisi e sintetici sempre ed in ogni modo sia la nuova cifra stilistica della comunicazione testuale su Internet.
Non è così ovviamente e come sempre accade nel mondo caotico dei new media la tecnologia presa da sola non significa granché, soprattutto non esiste quella sorta di corsa alla sostituzione di uno strumento improvvisamente decaduto con un altro da oggi salito alla ribalta. Twitter per esempio è Twitter, non è un nuovo modo di fare blogging e non è nemmeno un sacco di altre cose: del resto Boutin è in ottima compagnia fra quelli che non lo hanno capito e che si buttano con convinzione nell’uso del “cinguettìo” per fare la cronaca di eventi live o la campagna promozionale di questo o quel prodotto.
Quello che è forse accaduto in questi anni è che gli strumenti di relazione sociale in rete sono andati incontro ad un processo di raffinazione. Sono nati ambienti dedicati allo sharing fotografico, altri dedicati alla condivisione dei video ed anche la comunicazione testuale, date mille volte per deceduta, ha ricevuto la spinta di strumenti di interazione nuovi e molto specifici. Quello che nel 2004 si faceva attraverso un blog oggi lo si può fare in modalità assai più precise e segmentate anche attraverso interfacce più immediate come Tumblr, mentre una quota della comunicazione interpersonale più spicciola e amicale è scivolata dentro altre reti di relazioni come quella di Twitter o i messaggi di stato di Facebook. Nonostante vi stano ampi punti di sovrapposizione fra strumenti testuali differenti, nessuno oggi scrive un testo strutturato su Twitter e sempre meno persone usano il blog per appuntarsi pensieri da una riga o semplici link.
Se questo è vero, la semplificazione un po’ tranchant di Boutin è semplicemente poco aderente alla realtà, anche se è indubbiamente vero che la nascita di nuove opzioni ha mutato alcune abitudini di chi utilizza simili strumenti da maggior tempo ed ha diversamente indirizzato molte delle scelte comunicative dei nuovi arrivati.
Dentro a questa grande rapida evoluzione delle modalità di relazione in rete è poi il caso di segnalare come due delle interfacce di maggior successo attualmente disponibili, Facebook e Friendfeed, tentino invece il percorso inverso. Facebook proponendosi come sintesi autoritaria di tutte le nostre esperienze di rete, Friendfeed immaginando la medesima sintesi attraverso la gestione morbida dei nostri feed RSS. Se Facebook deve il suo successo planetario a questo suo proporsi come unico luogo delle esperienze di rete, segnando con questo una grande discontinuità con tutto ciò che per anni è stato detto a riguardo della apertura della rete come valore fondante della comunicazione, Friendfeed invece ha avuto il grande merito di organizzare in maniera semplice e aperta il lifestreaming di ciascuno di noi, disinteressandosi molto della cerchia di relazioni che i profili dei social network generalmente creano. Tuttavia proprio in questa grande capacità di interazione dinamica (ogni input che compare su Friendfeed è istantaneamente commentato e riproposto da molte voci diverse) sta anche la sua grande debolezza. Come ha giustamente scritto Giuseppe Granieri qualche giorno fa i contenuti su Friendfeed tendono ad “evaporare” dentro una conversazione tanto ampia quanto indistinta e senza punti fermi, abiurando in una qualche maniera ad uno dei capisaldi della comunicazione di rete: quello della centralità dei contenuti rispetto all’ambiente che li contiene.
Su un altro aspetto l’articolo di Boutin solleva invece dubbi condivisibili. Quello della invasione del mondo dei blog da parte di contenuti con un minor grado di autenticità rispetto a qualche anno fa. Certo l’osservazione della Top 100 di Technorati, che Boutin porta come argomento a favore di una rapida trasformazione di utilizzo dello strumento per fare “altro” rispetto al blogging, è ampiamente fuorviante, così come lo sarebbe in Italia la classifica dei primi 100 blog di Blogbabel: resta comunque vero che la blogosfera mondiale è stata nel frattempo invasa da forme di comunicazione para-professionale travestite da blog che hanno fatto leva su una idea amatoriale di comunicazione che spesso non gli appartiene. I blog maggiormente letti al mondo sono spesso siti editoriali a tutti gli effetti, i blogger più influenti sono sempre più spesso vezzeggiati dalle agenzie di comunicazione affinché si occupino di prodotti e servizi, la freschezza e infantile euforia dei primordi sembra insomma ormai definitivamente perduta.
Ma nessuna persona di buon senso che abbia ancora intenzione di comunicare chiude il proprio blog per andarsene su Twitter e gli strumenti per delimitare la propria rete sociale privilegiando contenuti per noi utili rispetto alla grande massa delle altre parole presenti in rete, comprese quelle false e interessate dei mercanti nel tempo della grande conversazione, restano intatti e a disposizione di tutti.
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