Uno dei pochi vantaggi di essere Mario Monti oggi è quello di poter vantare una giacca perfettamente stirata. Sono tali e tanti gli stimoli che il nuovo Premier ha ricevuto in queste prime ore di mandato da parte del mondo imprenditoriale, dei servizi, dai sindacati, da parte di gruppi di cittadini, associazioni e movimenti, da creare una sorta di effetto nuvola assordante e caotico. Centinaia di tirature di giacchetta che se da un lato fanno risparmiare sulla lavanderia dall’altro trasformano ogni istanza in una lamentazione del tipo: “ora però, finalmente, si occupi di questo”.
Il comparto digitale è uno dei più attivi in tal senso, vuoi per il fatto che la comunicazione elettronica vola a velocità superiori a quella dei fax e delle lettere ai giornali, vuoi perché il tema della agenda digitale del Paese è stato in questi anni uno dei più ignorati da parte del governo Berlusconi il cui approccio televisivocentrico alla comunicazione escludeva, già in partenza, qualsiasi entusiasmo al riguardo.
Così la rete Internet italiana è piena di accorati inviti a SuperMario scoccati dall’arco dei supporter del digitale ben prima della sua nomina ufficiale a Primo Ministro. “C’è bisogno di un Ministro per Internet – hanno scritto in molti – il Web è ormai il 2 per cento del nostro PIL e quella è la strada della crescita” hanno sostenuto altri e, mano a mano che la giacchetta del Premier diventava sempre più stirata, si andava concretizzando da un lato la forte impazienza di un comparto che esce da un decennio nel quale è stato sostanzialmente ignorato, dall’altro la tendenza molto italiana di cercare un posto sufficientemente illuminato all’alba del nuovo giorno che finalmente stava arrivando.
Appena uscita la lista dei Ministri (niente Ministro per Internet, sorry) in molti si sono armati di calcolatrice per informarci che l’età media dei componenti del governo è 63 anni e che gli ambiti da cui provengono sono per lo più accademici e imprenditoriali. Gente – come ha scritto qualcuno sarcasticamente in Rete – che è abituata a farsi stampare le mail dalla segretaria. Ipotesi, aggiungo io, cattivella ma non del tutto peregrina.
Durante il discorso di investitura del nuovo governo era purtroppo in viaggio e non ho potuto ascoltare Monti mentre tracciava le linee generale della sua azione nei prossimi mesi. Però un amico mi ha scritto su Twitter che il Premier aveva appena pronunciato al Senato la fatidica parola “banda larga”. Così oggi sono andato a recuperare le parole esatte:
“Occorre operare per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea con l’Agenda digitale e promuovere la diffusione della banda larga”
Si tratta di una citazione doverosa e generica. Non le attribuirei alcun valore di indirizzo particolarmente rivoluzionario.
Io credo che Mario Monti non abbia bisogno di essere stimolato sulla necessità di una svolta digitale del Paese, per la semplice ragione che un simile percorso è abbondantemente tracciato a livello europeo: quella italiana è stata, fino ad oggi, una eccezione di indirizzo tanto fastidiosa quanto autolesionista. E temo che Monti sappia esattamente, come lo sanno un po’ tutti gli addetti ai lavori, che gli obiettivi della Agenda Europea per il 2020 in Italia sarà molto difficile raggiungerli, a testimonianza di una arretratezza digitale nota e profonda. Ma se non avremo la metà delle nostre case collegate a più di 100Mbit nel 2020, questo non sarà perché non abbiamo un Ministro ad hoc ad occuparsi della materia, a meno che non si decida di fornirlo anche di costumino luccicante, cappello a punta e bacchetta magica, ma sarà perché l’idea stessa di sviluppo tecnologico non ha ancora fatto breccia, non solo nei ministeri, ma anche nelle amministrazioni, nelle scuole e nelle Università. Così come gode di cattiva, immeritata fama anche dal salumiere, dall’idraulico e dal lattaio.
E non mi sto riferendo a necessità didattiche o formative di cui questo paese ha certamente bisogno, ma a banali quotidiani utilizzi di tecnologie capaci, senza grandi sottolineature, di cambiarci in meglio la vita. Al lavoro certo, che il PIL per carità è importante, ma anche e soprattutto nelle nostre case. Perché è da lì che partirà, se e quando partirà, la troppe volte auspicata rivoluzione digitale del Paese.
Tutti gli editoriali di M.M. sono disponibili a questo indirizzo