Roma – Qualcuno a Wikipedia, la più grande enciclopedia del mondo, progetto collaborativo fra i più interessanti della rete internet, si è accorto che un buontempone nei mesi scorsi ha più volte anonimamente editato la voce “podcasting” della enciclopedia, migliorando – per così dire – la reputazione di Adam Curry che del podcasting è uno dei padri. Ma non è tutto qui: si è scoperto che gli IP raccolti, sempre i medesimi, rimandano ad una società di Adam Curry stesso. Viene in mente un episodio simile accaduto qualche tempo fa. Si scoprì che alcuni scrittori americani, anche di discreta fama, passavano il tempo a recensire positivamente, e sotto falso nome, i propri libri sulle pagine apposite su Amazon.
Sono solo due esempi di cosa sia possibile fare, da sempre, su internet, protetti da quella formidabile coperta di Linus che prende il nome di “anonimato”. A questi due esempi ne va aggiunto un terzo, anch’esso recente, che è solo in parte simile. Ha destato molto scalpore negli Stati Uniti la denuncia di John Seigenthaler, 78enne giornalista di Nashville, che con un articolo pubblicato su USAToday ha denunciato la inaffidabilità di Wikipedia e la facilità con la quale chiunque possa utilizzare l’enciclopedia online come strumento di anonima diffamazione. Seigenthaler qualche ragione in effetti ce l’ha: si è casualmente trovato citato su Wikipedia fra gli esecutori degli omicidi sia di John che di Robert Kennedy. Che insomma è un bel record.
Si potrebbe obiettare che i tre esempi citati sono fra loro assai simili. Tutti e tre hanno come comune denominatore l’anonimato. E l’anonimato non ha mai goduto di buon credito ne di buona stampa, per le ragioni che sappiamo. Eppure oggi l’anonimato diventa il grimaldello con il quale si mette in dubbio l’autorevolezza di ogni esperimento collaborativo in rete. Si usano espedienti simili per portare sotto i riflettori il fatto che una enciclopedia editabile da tutti mai non potrà funzionare, che essa mai potrà essere paragonata alle enciclopedie come le abbiamo conosciute fino ad oggi.
In questo sta la differenza: i primi due esempi citati, quelli di Adam Curry e dei recensori interessati su Amazon, possono andare archiviati come guasconate infantili, il terzo, la rivolta del giornalista autorevole diffamato “da Internet” è ben altro. E’ il tentativo di estendere un giudizio di merito individuale o di gruppo.
Così si moltiplicano gli studi scientifici che tentano di misurare quanto Wikipedia sia effettivamente affidabile. Quanto le migliaia di voci che contiene rispondano a “verità”. Quanto le definizioni compilate dagli utenti della rete di tutto il mondo possano essere definite autorevoli, utilizzando come termine di paragone il punto di vista degli esperti delle varie materie.
Sono studi che nascono con una ipotesi di lavoro già in parte destinata alla conferma. Mai, scientificamente parlando, sarà possibile confrontare una qualsiasi voce bibliografica di Wikipedia – che so, “Giulio Cesare” – con l’analogo record della Enciclopedia Britannica. Ma ne siamo certi?
Viviamo in un mondo che ha un disperato bisogno di conferme e punti fermi. Capita che su Internet le conferme siano un po’ meno frequenti ed i punti fermi appaiano discretamente traballanti. Anche se si parla di enciclopedie stiamo occupandoci in realtà di una nuova visione del mondo. Di una novità che richiede un discreto periodo di tempo trascorso in rete prima di poter essere accettata come “normale”.
I giornali americani, New York Times in testa hanno dato molto spazio alla vicenda di John Seigenthaler, magari anche esagerandone un po’ il pathos. E non a caso. La conseguenza immediata a simili polemiche è quella annunciata da Jimmy Wales di Wikipedia secondo la quale dai prossimi giorni non sarà più possibile partecipare alla enciclopedia collettiva in maniera anonima se non in modo limitato. E forse non è un caso che le polemiche si acuiscano oggi, nel momento in cui Wikipedia sta pensando di rendere disponibile gratuitamente i propri contenuti anche al di fuori dal web.
Molti degli strumenti di supervisione di enormi serbatoi di contenuti come Wikipedia devono ancora essere pensati e sperimentati ma è bene ricordare che i due principali sono già on line da tempo. Si chiamano “trasparenza” e “collaborazione”. Si tratta di due valori che non hanno molto spazio oggi nel mondo reale poiché ostacolano ogni sorta di maneggio politico, ideologico e commerciale.
Le grandi pesanti enciclopedie cartacee, nelle librerie delle nostre case, sono piene di grandi e piccole bugie, ben più importanti della diffamazione ad un giornalista in pensione di Nashville coinvolto senza motivo in uno dei grandi misteri americani.
Partendo da presupposti simili, gli studi scientifici sulla autorevolezza di Wikipedia fanno francamente sorridere. Ester Dyson, interpellata dal NYT sul “grave” caso di diffamazione nei confronti di Seigenthaler (che si agita molto sui media americani ma non si è nemmeno preso la briga di risalire agli autori del gesto adducendo risibili difficoltà legali) ha chiuso la vicenda con una dichiarazione sintetica e definitiva:
“Internet ha fatto moltissimo per la verità aumentando le possibilità di discussione su qualsiasi argomento. La trasparenza e la luce del sole sono meglio di un singolo punto di vista che non può essere discusso”.
Amen.
I precedenti editoriali di M.M. sono qui