Contrappunti/ La lista delle cose da fare

Contrappunti/ La lista delle cose da fare

di M. Mantellini - Sconfiggere la fame nel mondo e vaccinare i bambini africani sono due importanti obiettivi. Ma non sono l'unica strada per rendere migliore il pianeta. Che ha bisogno di questo e altro: a cominciare da buoni giornalisti
di M. Mantellini - Sconfiggere la fame nel mondo e vaccinare i bambini africani sono due importanti obiettivi. Ma non sono l'unica strada per rendere migliore il pianeta. Che ha bisogno di questo e altro: a cominciare da buoni giornalisti

Siccome i problemi erano ben altri alla fine si optò per non fare nulla, se non immaginare liste di priorità, analizzare debolezze ed incongruenze, spiegare evangelicamente le ragioni per le quali l’idea che qualcun altro ha proposto non merita tutta quell’attenzione. Il Financial Times si è applicato nella piccola degenerazione contemporanea di creare un muro contro muro fra progetti ed idee differenti ponendo a Bill Gates, in una lunga intervista esclusiva uscita qualche giorno fa, la ferale domanda: ma è meglio vaccinare i bambini africani contro la malaria o cablare il pianeta portando Internet ai miliardi di persone che oggi non possono utilizzarla?

In un lungo interessante pezzo in cui si parla d’altro, Gates si è lasciato sfuggire una piccola frase di biasimo e fastidio verso il progetto “Tutti connessi ovunque” di Mark Zuckerberg e verso i tentativi tecnologici di Project Loon di Google: com’era nelle attese e nelle speranze dell’intervistatore, quel piccolo “ma stiamo scherzando?” ha fatto il giro del mondo disegnando una presunta contrapposizione. Se Richard Waters, l’autore dell’intervista, avesse acconsentito ad eliminare l’accenno polemico dal pezzo, come un collaboratore di Gates gli ha chiesto subito dopo l’intervista, ora non saremmo qui a discuterne. Waters e il Financial Times ci avrebbero fatto di sicuro una figura migliore, lasciando prevalere il valore informativo dei temi legati al lavoro della Fondazione Gates rispetto a piccole polemiche da cortile che sono ormai evidentemente il motore indispensabile anche di autorevoli giornali economici della City.

Perché a ben vedere stiamo discutendo del nulla: il punto non è smettere di vaccinare i bambini africani per destinare risorse a progetti di connettività Internet, la questione non riguarda priorità che esistono solo nelle domande insidiose dei giornalisti o nel brutto vizio di liste di cose importanti enunciate con sicurezza (la paranoia delle liste, un male della società contemporanea legata per molti di noi ad un vecchio libro di Nick Hornby) da imprenditori dalle idee fin troppo chiare. Quello che invece dovremmo fare è supportare e pubblicizzare qualsiasi progetto, da quelli giganteschi dell’ex capo di Microsoft a quello più piccolo e marginale di un gruppo di volontari in una periferia del mondo, che ci aiutino a rendere il pianeta migliore. La filantropia è democratica, non attiene alle dimensioni dei progetti, è inutile e un po’ infantile fare liste di priorità. Quello che dovremmo fare (e in questo forse sta la critica sfuggita a Gates durante l’intervista) è vigilare che i temi delle iniziative umanitarie non si intreccino troppo con le faccende di business dei proponenti (ed in questo, purtroppo, il progetto di Facebook ha alcuni punti di evidente debolezza), quello che ci converrebbe fare è vigilare sulla nostra umanissima tendenza ad innamorarci di progetti poetici e planetari mediati dalla tecnologia. La tecnologia è sexy per definizione, la carta igienica nelle scuole italiane meno.

Il benaltrismo è una scappatoia tanto facile quanto ormai francamente insopportabile. Esiste sempre un problema altro degno di sottolineatura: qualcosa di più urgente, drammatico e sconosciuto ai più che meriti la nostra attenzione anche se, ovviamente, nemmeno io credo che parlando di malaria, malnutrizione, poliomielite in Africa si sia troppo lontano dalla cima di quella famosa e ipotetica lista delle 5 cose più urgenti da fare.

Il benaltrista americano domanderà a Bill Gates se non sia forse il caso di occuparsi prima dei suoi connazionali indigenti espulsi dall’assistenza sanitaria, quello italiano spiegherà con fastidio che portare Internet nelle scuole non può essere una priorità negli investimenti se gli edifici cadono a pezzi, i muri sono da imbiancare e la carta igienica per i ragazzi va portata da casa. In entrambi i casi si applica l’errore del giornalista del Financial Times al quale magari si potrebbe obiettare che i problemi del mondo sono ben altri rispetto a quelli di vendere molte copie del proprio giornale contrapponendo questo o quel progetto di chi cerca faticosamente di rendere il mondo in cui vive un luogo un po’ meno orribile.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
4 nov 2013
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