Qualche giorno fa mi chiama un giornalista della Rai e mi fa: “Ehi Massimo hai visto? È uscito un tema alla maturità sui social network, che ne pensi?”. Bella domanda: che ne penso? La prima cosa che ho pensato è che forse era il caso di chiamare a casa per chiedere a mia moglie che tema avesse scelto nostra figlia grande, che giusto quest’anno affronta la maturità classica. Poi ho pensato che si trattava certamente di una buona notizia, una specie di accettazione implicita dell’esistenza di uno strumento che ormai è utilizzato anche in questo paese da molti milioni di persone.
Ora a freddo confesso che qualche dubbio in più mi è invece venuto. Intanto il tema è stato classificato come tema di interesse tecnico-scientifico e questo è sintomatico di un noto fraintendimento. Lo studio delle tematiche che interessano i rapporti fra le nostre vite e gli strumenti di rete sono oggi la tematica più umanistica fra quelle a nostra disposizione. Attraverso lo stretto percorso della comprensione di questi “giochetti” passa la nostra possibilità di essere domani uomini e donne culturalmente evoluti, persone informate dei fatti, cittadini capaci di scelte responsabili. La riduzione della rete Internet a strumento tecnologico è insomma la sottovalutazione solita di chi non ha capito bene di cosa sta parlando.
Poco male comunque se è vero che un ragazzo su tre ha scelto questa traccia, sebbene gli spunti di discussione fossero per nulla leggeri ed eccessivamente lunghi. Per conto mio ne sarebbero bastati un paio comprendendo fra questi la bella frase di Y. Benkler
“Ciò che conosciamo, il modo in cui conosciamo, quello che pensiamo del mondo e il modo in cui riusciamo a immaginarlo sono cruciali per la libertà individuale e la partecipazione politica. Il fatto che oggi così tanta gente possa parlare, e che si stia raggruppando in reti di citazione reciproca, come la blogosfera, fa sì che per ogni individuo sia più facile farsi ascoltare ed entrare in una vera conversazione pubblica. Al contempo, sulla Rete ci sono un sacco di sciocchezze. Ma incontrare queste assurdità è positivo. Ci insegna a essere scettici, a cercare riferimenti incrociati e più in generale a trovare da soli ciò che ci serve. La ricerca di fonti differenti è un’attività molto più coinvolgente e autonoma rispetto alla ricerca della risposta da parte di un’autorità”
che da sola vale come possibile apertura alla discussione.
Moltissimi maturandi oggi utilizzano Facebook o hanno un blog, oppure frequentano Youtube o Myspace: proporre loro di meditare sulla essenza degli strumenti che utilizzano ogni giorno, magari obbligandoli a dissertare su argomenti ai quali non hanno mai molto pensato, resta comunque una ottima idea, anche se la qualità dell’elaborazione culturale di quegli stessi temi è in questo paese ai minimi storici, non solo nelle scuole secondarie, ma anche nelle università, nelle discussioni pubbliche e sulla stampa.
Forse è anche per via di questa specie di vuoto di comprensione che gli insegnanti chiamati a correggere le tracce delle migliaia di maturandi che si sono misurati con l’analisi del testo sugli strumenti sociali in Rete, sono in questi giorni di fronte ad un compito assai difficile. Perché la riduzione folcloristica che i media fanno nella stragrande maggioranza dei casi alle tematiche sociali su Internet è in grado di scatenare discreti disastri prima ancora sui docenti chiamati a giudicare che sui discenti invitati ad esprimere pareri e punti di vista.
Esiste una grandissima confusione sotto il cielo dell’analisi dei fenomeni sociali legati all’utilizzo delle nuove tecnologie. Si è per esempio fatta spazio in questi anni l’idea di una segmentazione sociale netta fra “nativi digitali” (i giovani nati e cresciuti ai tempi dei nuovi strumenti di relazione) e altri soggetti con accessi e comprensioni tecnologiche intermedie o nulle. Ma è davvero così? È corretto affidarsi sempre al luogo comune secondo il quale su tematiche tecnologiche l’allievo supera sempre il maestro? Oppure esiste una sopravalutazione consolatoria della tendenza dei giovani ad approcciare Internet e gli strumenti di rete, investendo loro di aspettative diffuse che non saranno comunque del tutto soddisfatte?
In un contesto del genere Contrappunti sostiene con entusiasmo la piccola proposta di Mario Tedeschini Lalli, di Repubblica , e di Giovanni Boccia Artieri, sociologo dei nuovi media dell’Università di Urbino, affinchè il Ministro Gelmini renda almeno in parte accessibile il materiale di questa prova d’esame per uno studio etnografico sulla penetrazione delle nuove tecnologie in questo paese. Per una volta dai temi della maturità, invece che bignamini variamente rieditati su Montale o Svevo, sarebbe possibile – come scrive Boccia Artieri sul suo blog – farci raccontarci un pezzo del futuro a venire.
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