La domanda di oggi è la seguente: è possibile che un sito web che conta ormai 4 milioni di iscritti in questo paese, localizzato in italiano, al quale vengono dedicati libri, convegni e decine di articoli di stampa, che rappresenta un inedito primo passo di migliaia di utenti della rete verso l’uso di strumenti innovativi di rete sociale, possa non avere una seppur piccola sede italiana alla quale rivolgersi in caso di contenziosi, dubbi e suggerimenti?
Mi riferisco ovviamente a Facebook, il social network di moda del momento del quale evidentemente quasi nessuno legge le pagine del contratto scritte nell’usuale “corpo 8”. Se ci prendessimo la briga di farlo scopriremmo che, nel momento in cui iscrivendoci ne accettiamo le condizioni d’uso, Facebook diviene proprietario e giudice di tutto ciò che scriviamo, delle foto che pubblichiamo, che si riserva il diritto di cambiare le condizioni contrattuali senza darcene notizia, che può cancellarci l’account senza darne spiegazione, che non ci fornisce alcuna garanzia sui software che rende disponibili e che rimanda invece all’utente per qualsiasi questione legale causata dai contenuti messi in rete sul sito. Nel caso di contenzioso farà poi piacere sapere a noi, suoi nuovi sottoscrittori, che le leggi di riferimento sono quelle del Delaware e che la corte competente è invece nella soleggiata California.
Benché le condizioni d’uso di Facebook siano come si vede particolarmente sfavorevoli, la presenza di una eventuale interfaccia umana della società in Italia potrebbe essere molto utile per molte differenti ragioni.
Per esempio, potrebbe chiarire la annosa questione dei furti di identità della quale si parla molto anche sui rotocalchi da quando alcuni vip della TV hanno ritrovato su Facebook un proprio profilo falso al quale migliaia di utenti ignari si erano nel frattempo collegati. Che rete sociale è se è possibile costruirla anche attorno ad un millantatore? Anche i tentativi di Striscia la Notizia di ottenere informazioni “umane” a Londra, nell’unica sede della compagnia americana al di qua dell’oceano, hanno avuto esito infruttuoso.
Solo qualche giorno fa Riccardo Luna, direttore di Wired Italia segnalava ai suoi contatti su Facebook dell’esistenza di un proprio profilo clonato, il cui sconsiderato autore, che utilizza anche la medesima foto da Luna utilizzata sul suo profilo autentico, stava mandando in giro richieste di amicizia al suo posto.
L’unico strumento disponibile oggi per gli utenti di Facebook per segnalare simili antipatici episodi (del resto mentre Facebook ha da sempre posto grandi barriere in uscita ai profili ed ai dati degli utenti sul suo network, iscriversi al servizio è invece facilissimo e non richiede altro che un nome, un cognome, un indirizzo email ed una foto) è una semplice form di segnalazione ai cui messaggi spesso non si riceve alcuna risposta. Un po’ poco per una società che basa il suo successo sulla capacità di costruzione di rapporti sociali fra le persone.
Ed è piuttosto significativo notare che se da un lato le procedure di segnalazione di eventuali violazioni del copyright, in ossequio al DCMA statunitense hanno una ampia e ben segnalata corsia preferenziale , le segnalazioni di una possibile sostituzione di identità, che per il codice italiano sono un reato penale per il quale si rischia la reclusione fino ad un anno, non sembrano essere tenute in ugual conto.
Facebook spesso non risponde per nulla ai suoi utenti e quando decide di farlo lo fa attraverso metodi di esclusione assai grossolani e non chiari: lo scrittore Aldo Nove è stato per esempio ripetutamente escluso dal network, spesso senza ricevere chiare indicazioni delle ragioni di un simile gesto.
Allo stato, il rapporto fiduciario fra i gestori del sito ed i loro “clienti”non americani appare assai sbilanciato e solo una massiccia iniezione di relazioni umane non filtrate dalla macchina potrà fare in modo che domani gli utenti italiani di Facebook non abbiano la sensazione di essere all’interno di un sistema che li controlla, li usa, li censura e poi quando è il momento di chiarirne le ragioni, decide di andarsene dalla porta secondaria.
Analogamente l’idea di vedere i propri dati e la propria reputazione utilizzati da estranei con fini poco chiari è una idea odiosa non solo per i vip della TV ma per chiunque di noi. È necessario sapere che la nostra presenza in rete domani potrà essere facilmente clonata per esempio per iniziative di phishing anche peggiori rispetto a quelle eventualmente diffamatorie che possiamo immaginare.
E prima di affollare gli uffici delle procure con querele e cause complicate che se concretizzate ci porteranno in una aula di tribunale del Delaware, forse sarebbe il caso che a Facebook iniziassero ad occuparsi con qualche maggior vigore del customer care dei propri affezionati sottoscrittori.
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