Non addormentatevi: il tema di oggi è anonimato e responsabilità. L’argomento è attuale (lo è sempre stato per la verità, fin dai tempi della famosa vignetta del New Yorker col cane dietro allo schermo) soprattutto per la recente didascalica vicenda di Spider Truman, il precario della Camera dei Deputati, la gola profonda capace di unire in una sola voce i mille rimbrotti anticasta che attraversano la versione digitale di questo Paese. Ma lo è anche a margine della storia del blog di Amina, blogger gay siriana poi rivelatasi essere un tizio di Edimburgo sottoposto, più che ai rischi di una irruzione della polizia segreta di Assad, al tedio climatico della Gran Bretagna del nord.
Il tema dell’anonimato su Internet è da sempre saldamente al centro di buona parte della peggior elaborazione culturale che riguarda la Rete: tracima dalla bocca di censori e regolatori, occupa i comunicati stampa delle procure della Repubblica e i vaniloqui dei politici meno avvezzi alle dinamiche Internet. A tutti questi signori dotati di saldi preconcetti la vicenda Spider Truman ha fornito nuovi utili argomenti: il plot stanco del Precario che forse non c’è, i mille rimpalli di responsabilità fra popoli viola, ex parlamentari deboli in ortografia ed esibizionisti vari, le interviste su chi sia il figlio di chi, hanno infine delineato questa grande aggregazione di cittadini italiani in Rete (oltre 360.000 sottoscrittori alla pagina Facebook dei Segreti della Casta ) come una piccola farsa capace di risvegliare Flaiano ed i suoi aforismi.
L’anonimato è stato un valore fondante della rete Internet. Lo è anche oggi, in quanto possibilità ulteriore rispetto alle convenzioni della società civile, resa possibile da particolari ed inedite condizioni tecniche. Tutto questo funziona però (e nemmeno sempre) solo all’interno di una solida architettura di responsabilità distribuita. Il garante dei contenuti messi in rete dietro il velo di un nickname è oltre all’autore la Rete stessa, le cui regole (il dominio dei contenuti, il controllo distribuito delle fonti, l’assoluta libertà dei temi) consentono ciò che nel mondo reale è di fatto quasi sempre impossibile: scindere il giudizio dal pregiudizio, liberare le parole, distanziandole quando serve dal vissuto di chi le pronuncia, rendendolo in molti casi superfluo.
Molti pensano che questo non sia utile, che le complicazioni collegate all’anonimato siano peggiorative rispetto al sistema di convenzioni normalmente utilizzato: alcuni semplicemente preferiscono il contenitore al contenuto, la pigrizia e la comodità del pregiudizio rispetto al necessario continuo ragionamento sulla essenza delle cose che leggiamo ed ascoltiamo.
A dispetto dei santi Internet continua oggi ad aggiungere nuovo valore informativo rispetto a quello che già è a nostra disposizione, anche se ovviamente nessuno ha la pretesa che lo faccia per tutti. Ma è per questa ragione che storie come quella di Spider Truman o quella di Amina hanno effetti negativi generali: perché riducono i già esili spazi di credibilità che Internet raccoglie fuori dalla Rete (particolarmente in Italia dove la metà dei cittadini ne resta più o meno volontariamente esclusa) ma anche perché, specie quando simili eventi riguardano centinaia di migliaia di persone, dettano una agenda di utilizzo di Internet che è gerarchica e sostanzialmente imposta.
Qualche giorno fa ho scritto – esattamente per le ragioni qui sopra descritte – che i creatori del progetto Spider Truman (chiunque essi siano) sono dei cretini (anche al limite, benevolmente, dotati di quella stupidità che involontariamente crea danni sia a sé che agli altri, secondo la ben nota terza legge di Carlo M. Cipolla) e questa frase ha generato un certo dibattito ed una serie di prese di posizione, molte delle quali centrate sull’importanza del messaggio. Molti vedono comunque in questa operazione di sottolineatura dei privilegi parlamentari un valore: che sia la volta buona che i politici capiscano, che dormano sonni agitati, preoccupati da quei 300mila Like che gli italiani gli hanno fatto piovere addosso, quasi fossero tante monetine digitali scagliate contro un nuovo Hotel Raphael simbolo del peggior potere.
Io credo invece che questo non sia vero, che sia sciagurato svilire la Rete utilizzandola come un immenso gracchiante altoparlante produttore di slogan, seguendo le logiche usuali dell’occupazione degli spazi e dei tempi televisivi, dove chi si impadronisce del microfono è colui che ha vinto. Penso che i cittadini, se davvero sono sfiniti da privilegi e malgoverno, abbiano oggi tutti gli strumenti per aggregare in rete intelligenze e proposte, scegliendole per rilevanza e qualità. Anche al limite da soli, in una sorta di autoconvocazione digitale che prescinda da apparati politici o altre strutture associative. Se questo non avviene (e mi pare che mediamente in Italia non avvenga) è piuttosto ovvio che il fulcro decisionale continuerà a risiedere altrove, che molti cavalcheranno la tigre e che Internet si presterà sempre di più ad essere lo strumento della propaganda di pochi, piuttosto che il luogo dove crescono le nuove intelligenze aperte a molti.
È la vecchia storia degli strumenti che sono di per se stessi neutri e di come anonimato e passaparola, a seconda dei contesti di utilizzo, possano essere grandi presidi di tutela democratica ma anche fenomenali armi di distrazione di massa.
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