Missione impossibile. Dare dignità ai contenuti della rete Internet. Percepire il valore della condivisione così come quello del rispetto della diversità. Sottolineare il lavoro altrui così da veder riconosciuto il proprio. Mettere un piccolo personale mattoncino ad una grande costruzione collettiva di senso. Basterebbe poco in fondo per far crescere il valore della Rete, per renderla un luogo più accogliente e a misura di tutti: e, invece, ovunque ci si giri, è possibile notare grandi o piccole incrinature della forza.
Secondo un recente studio di Pew Research , la rete Internet è un grande acceleratore di impegno sociale: oltre il 75 per cento dei navigatori adulti della Rete in USA sceglie di impegnarsi su temi sociali, si iscrive ad organizzazioni o si dedica al volontariato. Con tutti i limiti possibili legati all’impegno “leggero” che spesso la partecipazione in Rete consente, si tratta di un segnale importante di come Internet possa essere un grande moltiplicatore di condivisione.
Esattamente per questa ragione la raccolta di firme scatenata su Internet per le dimissioni di Silvio Berlusconi da parte del Partito Democratico sembrerebbe la scelta sbagliata da parte delle persone sbagliate. La deriva plebiscitaria in Rete non è ovviamente patrimonio degli spin doctor sfiatati di Pierluigi Bersani. È invece la modalità comunicativa prevalente di buona parte delle forze politiche che, al di là di proclami e chiacchiere in libertà, continuano a vedere la rete come una versione complicata e misteriosa del vecchio amato dazibao .
Internet, nel caso del PD, del PDL e di molta stampa militante, è il cortocircuito comodo per raccontare il consenso della parte più tecnologica delle masse. Eventuali utilizzi intelligenti della Rete vengono volentieri immolati sull’altare della spicciola propaganda, del grido scomposto e dei numeri ad effetto da strillare all’avversario. La politica, intesa come “l’arte di governare la società”, si continua ad esercitare in altre stanze, il popolo bue osserva ed approva, alzando bandierine o manifestando elementare dissenso nelle piazze, nei bar ed oggi anche dentro quel luogo nuovo (dopo 10 anni) e sfuggente chiamato Internet.
A differenza di quanto ampiamente argomentato nei quotidiani in questi giorni, il tema centrale delle raccolte di firme in Rete non è tanto quello dell’ampia quantità di firmatari oneclick dalle credenziali sospette (Zorro, Batman ecc) ad ingrossare le fila degli aderenti, quanto quello dell’utilizzo di un grande strumento di dialogo e condivisione, ridotto alla semplice funzione di trombetta da parte di una oligarchia di burocrati di partito e giornalisti schierati.
Questo approccio elementare non solo non aiuta più di tanto il tripudio montante e consolatorio di questa o quella causa (in fondo la firma di Zorro qualche modesto problema di credibilità lo pone), ma crea anche un danno evidente alla dignità della Rete e ne limita le potenzialità per domani. È come se i partiti e i media che non capiscono Internet scegliessero ogni giorno non di aggiungere il proprio personale piccolo mattoncino di senso, ma ne smontassero una manciata per gettarli nel bidone.
Nel caso delle firme raccolte dal Partito Democratico questa settimana, mentre i giornali di centro destra si focalizzano sulle firme false, citando la sottoscrizione effettivamente sospetta all’appello da parte di Al Capone e Numa Pompilio, il responsabile cultura del PD Matteo Orfini, intervistato dal Corriere della Sera parla di iniziativa che ha “superato ogni previsione”. Orfini ha in fondo ragione: nemmeno io pensavo fossimo messi così male.
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