Contrappunti/ La tentazione del censore

Contrappunti/ La tentazione del censore

di M. Mantellini - La tecnologia lo consente, allora perché non costruirlo? Un sistema perfetto, utopico, in cui tutto è controllato. Ma la tecnologia è intelligente abbastanza da comprendere la natura umana?
di M. Mantellini - La tecnologia lo consente, allora perché non costruirlo? Un sistema perfetto, utopico, in cui tutto è controllato. Ma la tecnologia è intelligente abbastanza da comprendere la natura umana?

Lamentiamo tutti, da sempre, la freddezza e le difficoltà dei nostri rapporti con le macchine. Le troviamo poco intelligenti, per nulla elastiche, incapaci di comprendere contesti e disagi. È così, in effetti. Ieri sera per esempio nel parcheggio di una città francese, dopo i fuochi d’artificio del 14 luglio, la scatola metallica deputata alla riscossione del pedaggio faceva le bizze e la fila di persone in attesa con le monetine in mano si allungava sempre di più. Le macchine, del resto, sono in molti casi solo un compromesso ragionevole, sollevano gli umani da compiti ripetitivi come presidiare un casello autostradale o dare informazioni su un evento, in altri casi sono un compromesso indispensabile. Il “prema-uno-poi-prema-due” del nostro operatore telefonico, lo schermo di programmata attesa che ci tiene a minuti di distanza dall’operatore in carne, ossa e voce, risolve, almeno in parte, banali questioni di economia di scala: un operatore per ogni richiesta della clientela? Impossibile ovviamente.

La tendenza al filtro tecnologico, come ogni compromesso in qualche misura peggiorativo della società delle persone, raggiunge il suo culmine nei meccanismi di scelta delle piattaforme tecnologiche, per esempio le piattaforme di pubblicazione e relazione come i social network, per esempio Facebook. 900 milioni di clienti: come gestirne umori, colpi di testa, stupidità, atti vili e reati che, ovviamente, non foss’altro per ragioni statistiche, da quelle parti esistono? La risposta, almeno su Internet, è unica e senza alternative: con un algoritmo, un pezzo di software che provi ad intercettare immagini, frasi ricorsive, perfino comportamenti che possano essere in qualche misura pericolosi per la collettività.

In simili contesti la tecnologia confonde i ruoli e mescola le carte. Chi scrive il software, magari con le migliori intenzioni, si trasforma suo malgrado in gendarme, grande fratello, firewall cinese. E in queste ipotesi di controllo, pericolose e molto concrete non solo alla corte dei regimi autoritari ma anche nelle luminose democrazie occidentali, il tema da sempre ovunque utilizzato, una sorta di argomento rompighiaccio capace di unire le coscienze e produrre indignazione automatica, è quello delle profferte sessuali ai minori su Internet. Ognuno di noi sarebbe disposto a sospendere lo stato di diritto in nome di una giusta condanna dei pedofili che insidino i nostri figli: un simile tema rende improvvisamente trascurabile ai nostri occhi di genitori preoccupati la stupidità della macchina e ci consiglia di sorvolare sulla confusione dei ruoli fra piattaforma e gendarmeria.

Così quando attraverso una breve notizia di Reuters scopriamo che Facebook usa un algoritmo per controllare chat, profili personali e post di molti milioni di utenti, un software capace – sembrerebbe – di scovare magicamente e in tempo reale i gaglioffi che insidiano i minori online e di comunicare simili informazioni alle autorità in modo che il reato venga non solo perseguito ma anche, quando possibile, prevenuto, ci concentriamo sul valore salvifico della tecnologia e non sulla stupidità della macchina e nemmeno sulla grande potenziale pericolosità di un simile apparato di controllo.

La macchina diventa umana e piena di virtù, ma solo nel momento in cui a noi stessi interessa crederlo. Poi quando il nostro profilo Facebook viene bruscamente sospeso perché magari abbiamo postato una immagine dell’Origine del Mondo di Courbet (tela esposta al Museo d’Orsay e visibile da chiunque minori compresi) e la macchina mostra tutta la sua stupidità di chi nemmeno distingue fra grande arte e pornografia, torniamo a lamentarci per la nostra libertà affidata con tanta leggerezza a quello che nella migliore delle ipotesi è il cervello di un criceto o, nelle peggiori, lo sguardo indagatore ed oppressivo del gendarme.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
16 lug 2012
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