Roma – Dicono i neurofisiologi che esiste una area, nella nostra corteccia cerebrale, deputata a funzioni molto particolari. E’ la cosiddetta area 10 di Brodmann. L’area prefrontale di Broadmann è una zona del cervello che forse fino a un decennio fa utilizzavamo poco. E che oggi invece, specie nei più giovani, sembra essere travolta da un inatteso superlavoro.
Se ne parla in un bellissimo articolo di Claudia Wallis che si è guadagnato la copertina di Time Magazine: un pezzo sulla cosiddetta Generazione Multitasking, uno spaccato sociologico della adolescenza americana (e prossimamente anche europea) alle prese con una convivenza continua con presidi tecnologici differenti e perennemente accesi. Recenti studi hanno calcolato come, per circa 6 ore ogni giorno, i teenagers d’oltreoceano siano immersi all’interno di una nuvola informativa rappresentata da posta elettronica, sistemi di messaggeria istantanea, SMS, Web, DVD, TV, lettori mp3 e telefoni cellulari. Capita un po’ anche da queste parti e non è chiaro se sia una buona cosa.
Sulla realtà dei fatti ovviamente non si discute: resta da capire se simili modificazioni tecnologiche del nostro essere informati abbiano prossime conseguenze anche sulla qualità della nostra vita ed, eventualmente, di che tipo.
I sociologi si interrogano sulle conseguenze di questi cambiamenti, i neurofisiologi tentano di spiegarne i meccanismi intrinseci, i genitori si preoccupano della verticale caduta del dialogo casalingo ( i loro figli sono perennemente collegati a qualcosa ed hanno sempre qualcosa d’altro di più urgente da fare) gli insegnanti segnalano evidenti variazioni nelle predisposizioni all’ apprendimento che la generazione M. mostra ogni giorno di più.
Ed anch’io, vi confesso, superati abbondantemente i quarant’anni, sono preoccupato per la mia area di Brodmann, per lo meno da quando ho notato la mia recente e ormai assoluta incapacità di scrivere articoli come questo o di leggere libri, dedicandomi al contempo ad altro, per esempio ascoltando musica.
Sembra che l’area di Brodmann, una area cerebrale fra le ultime a svilupparsi e fra le prime ad andare verso l’involuzione senile, sia una sorta di “simulatore multitasking”. Perché, indipendentemente da quanto se ne possa pensare, il nostro cervello, a qualsiasi età, è in grado di fare una sola cosa complicata alla volta, a meno che non si tratti di azioni con un alto grado di ripetitività (per esempio, come tutti sappiamo, possiamo egregiamente camminare e pensare ai fatti nostri, oppure guidare l’auto e ascoltare musica).
Da quelle parti, nei nostri lobi frontali, – ci dice l’articolo di Time – vengono momentaneamente parcheggiate le informazioni che il nostro cervello mette in una sorta di rapidissimo stand-by mentre è impegnato a fare qualcosa d’altro. La velocità di “ripescaggio” dei nostri pacchetti cognitivi da quelle zone dell’encefalo rende possibile per ciascuno di noi l’illusione della contemporaneità: leggere una mail mentre si ascolta un disco, navigare sul web mentre si segue un programma in TV ecc. ecc. Siamo insomma esseri multitasking per modo di dire. E lo siamo, ci dicono gli scienziati, solo per un certo periodo della nostra vita.
E’ anche possibile che, semplicemente, il nostro cervello stia cambiando, adattandosi a situazioni fino a ieri sconosciute: è possibile che quello che gran parte degli educatori oggi denunciano come una perdita (la capacità di concentrazione su singoli argomenti, l’attitudine ad elaborare approfonditamente il proprio patrimonio informativo) sia semplicemente un inevitabile cambio di orizzonte e che ciò che eravamo fino a ieri, semplicemente non saremo più. L’alternativa è ovviamente quella di considerare il nuovo ecosistema tecnologico nel quale siamo immersi come un ambiente complessivamente peggiorativo delle nostre attitudini di esseri umani.
Quella che sta crescendo, anche nei numeri di una piccola ricerca italiana dell’Associazione Editori, è una generazione di adolescenti nati con la tecnologia accanto, che utilizzano estesamente Internet per comunicare o per le proprie ricerche scolastiche, che scaricano musica dalla rete o creano blog, che si mantengono in contatto con i coetanei attraverso SMS o sistemi di IM.
In questa specie di tourbillon sembra davvero che, accanto a palpabili accelerazioni comunicative, qualcosa resti indietro: che le informazioni non ricevano più la necessaria individuale attenzione, che la quantità di dati diventi più importante della qualità degli stessi e che, soprattutto, gli adolescenti multitasking allontanino l’abitudine non solo allo sviluppo di una coscienza critica individuale (per la formazione della quale è richiesto un tempo di elaborazione intellettuale che non sembra essere più disponibile) ma che si riduca anche la percezione della importanza del tempo trascorso al di fuori della propria nuvola tecnologica. Cose semplici come una partita a calcio, un gelato con gli amici, una passeggiata in campagna.
Il vecchio raffronto fra intelligenza artificiale ed elaborazione cerebrale, per una volta sembrerebbe volgere a favore delle macchine che, nel loro piccolo, sono ampiamente in grado di “fare più cose in una volta”: eppure l’invasione dei device elettronici nelle nostre vite (e soprattutto in quelle dei nostri figli) è questione destinata ad ingigantirsi nei prossimi anni.
Così, mentre io sono preoccupato per la mia malandata area di Brodmann, appare sempre più evidente che la strada per una nuova ecologia della informazione sarà quella del progettare un equilibrio fra stimoli e contesti differenti. Oppure semplicemente cambieremo, lasciandoci indirizzare solo dalla tecnologia. E non sarà necessariamente in meglio.
I precedenti editoriali di M.M. sono qui