Domani a Roma verrà presentato uno studio sulla diffusione delle tecnologie nel nostro paese, denominato E-family 2007 . Lo hanno commissionato ConfindustriaS&I/Anie e Repubblica ne ha già anticipato i numeri principali qualche giorno fa. Il dato principale che esce da questo studio è che le dotazioni informatiche nelle case degli italiani crescono molto lentamente. Nel 2004, il 52% delle famiglie possedeva almeno un computer in casa, oggi siamo passati al 56%. Più di una famiglia italiana su due (visto che la penetrazione di Internet è passata incredibilmente dal 40% del 2005 al 39% del 2006) oggi continua quindi a non utilizzare la rete.
Si tratta di numeri allarmanti e a nulla serve sottolineare come elemento positivo la ovvia migrazione dalle vecchie linee dialup alle attuali connessioni a larga banda, tali variazioni non segnalano null’altro che un aggiornamento tecnologico imposto dal mercato e dai costi. Non siamo oggi tecnologicamente più evoluti perché, come citato dallo studio, abbiamo aumentato del 10% il numero delle ADSL casalinghe (il 60% rispetto al 50% del 2005), semplicemente accade che acquistiamo ciò che ci viene offerto. Quello che semmai cambia, in conseguenza di questa nuova dotazione tecnologica, è il fatto che le tariffe flat inducono un differente utilizzo della rete ed una maggior permanenza su Internet di ciascuno di noi.
I dati della ricerca che riguardano telefonini e TV, contenuti nello studio, sono infinitamente meno interessanti e largamente attesi. Inutile ripeterlo ancora: siamo un paese di accaniti telefonisti in mobilità, il digitale terrestre, nonostante i tentativi di doping perpetrati a suon di incentivi statali illegali, è stato fino ad oggi un flop assoluto e la TV satellitare a pagamento non decolla più di tanto.
Ciò che è per noi invece interessante oggi è capire come mai più della metà della popolazione italiana continua a non utilizzare la rete e, soprattutto, cosa sia possibile fare affinché la distanza fra chi è collegato e chi no si riduca. Vediamo di analizzarne le possibili ragioni.
1) I costi . Oggi i costi di accesso non sono un problema. Una dsl flat base costa meno di venti euro al mese e seppur le caratteristiche tecniche di simili collegamenti sono complessivamente inferiori (a parità di prezzo) rispetto a quelle offerte in alcuni paesi del resto d’Europa (l’esempio tipico di comparazione è la Francia) oggi un accesso always-on alla rete Internet è un investimento da 60 centesimi di euro al giorno. Anche le bizzarrie autolesioniste del mercato dell’accesso alla rete si sono placate: certi collegamenti dsl a tempo, cavallo di battaglia della offerta commerciale di Telecom Italia (che hanno colpevolmente rallentato lo sviluppo della tariffazione a forfait negli anni scorsi) stanno giustamente raggiungendo quell’oblio che avrebbero meritato fin dall’inizio.
2) Servizio Universale . L’accesso è oggi uno dei due problemi principali sui quali incidere. Non facciamoci ingannare dai numeri offerti che parlano di accessi a larga banda disponibili per il 90% circa della popolazione. Di fatto, di fronte ad una copertura significativa delle grandi aree urbane, esiste in Italia circa il 50% del territorio che non è coperto dalla larga banda.
Come sappiamo si tratta di un “digital divide” scarsamente geografico (nel senso che interessa in maniera irregolare le varie regioni italiane) ma in pratica un numero di utenti potenziali della rete internet sufficientemente ampio (almeno il 12% della popolazione) è oggi impossibilitato a connettersi a Internet attraverso un collegamento broadband per ragioni di offerta commerciale mancante. È quello che il Comitato Larga Banda definisce come “Digital Divide infrastrutturale”.
I piani del governo in tal senso sono stati attivati e gli obiettivi sono quelli di un servizio universale che comprenda la larga banda, in grado di coprire tutto il paese entro il 2011. Ora senza volersi nascondere le difficoltà di simili transizioni occorre dire che il 2011 è tardi e che le consultazioni per il WiMax, con la solita coda di polemiche e punti di vista differenti e tiraemolla fra Ministeri e telco non promettono nulla di buono. Ancora più pacati sembrano i progetti della città di Milano che ha annunciato giusto sabato scorso di voler creare una rete WiFi sul territorio cittadino. Quando? Entro il 2015.
3) L’alfabeto . Qui arrivano i guai grossi. Inutile negarselo, abbiamo un evidente problema culturale che viene ben evidenziato anche dal rapporto E-family. Perché, una volta organizzate proposte commerciali decenti, una volta portata la larga banda a casa di tutti i cittadini che la desiderano, rimane lo stesso un’ampia fascia della popolazione che non è interessata ad Internet.
Sui margini di “conversione” di questi soggetti è necessario essere ottimisti, per lo meno guardando i numeri della penetrazione della rete in altri paesi occidentali. Scontiamo comunque, rispetto agli altri paesi, anche un’atavica allergia per le lingue straniere. Uno dei dati più impressionanti fra quelli pubblicati su E-family 2007 è quello secondo il quale il 66% degli intervistati dichiara conoscenze pari a zero della lingua inglese.
C’è in ogni caso un gap che può essere ridotto attraverso la presa di coscienza della utilità della rete da parte di quei cittadini che oggi nemmeno sospettano i vantaggi potenziali che Internet porterebbe alle loro vite. Ciò si ottiene fondamentalmente in due modi: il primo è quello noto della cosiddetta alfabetizzazione , brutta parola che comprende al suo interno un ampio spettro di comportamenti e modalità che vanno dalle iniziative di avvicinamento dei cittadini alla rete (con particolare interesse per gli anziani o coloro i quali hanno basilari difficoltà di rapporto con i computer) alla divulgazione corretta delle potenzialità della rete da parte dei media e delle strutture didattiche.
Il secondo è l’innesco di un circolo virtuoso di opportunità digitali che convinca i cittadini con meno propensione al nuovo della facilità ed utilità del mezzo telematico. All’interno di questo punto convivono in primo luogo la messa in rete delle procedure burocratiche della Pubblica Amministrazione, i servizi bancari e postali, seguiti a ruota da tutti quei servizi commerciali già esistenti (pensate alla facilità di acquistare un biglietto aereo o prenotare un albergo oggi in rete) capaci di creare un vigoroso passaparola che inizi a coinvolgere anche quanti vivono al di fuori delle “spire” del mondo digitale.
Non si tratta di voler imporre un alfabeto rispetto ad un altro, ma banalmente di rendersi conto che oggi di alfabeto ne esiste ormai uno solo e che continuare ad ignorarlo da un lato renderà le nostre vite meno semplici, dall’altro ci lascerà al di fuori del flusso dei principali contenuti informativi, condannandoci ad una marginalità sempre più evidente.
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