Quindi, alla fine, la grande muraglia cinese che Facebook ha pazientemente costruito in questi anni sembra destinata ad essere dimenticata? Come certi errori di gioventù che si fatica a riconoscere come propri? Facebook è nato ed è cresciuto dentro l’ossessione di una nuova riservatezza. Era il requisito indispensabile per la sua crescita, per essere riconosciuto dagli utenti come un luogo nuovo per le proprie relazioni di rete, la costruzione di uno spazio recintato dove sentirsi contemporaneamente al sicuro e liberi di esprimersi, protetti da una piattaforma impermeabile ai motori di ricerca e, per una volta, giocata sul patto della riconoscibilità anagrafica e sociale.
Ognuno di noi è se stesso su Facebook, con il proprio nome e cognome (o almeno così doveva essere) e non assomiglia al solito cane della famosa vignetta, protetto dallo schermo del proprio terminale internet dalle mille curiosità altrui. Per un certo periodo questa alterità di Facebook è stata contemporaneamente molto originale e un po’ ridicola, fino al punto in cui un link ad una pagina web creato dentro la piattaforma generava un messaggio di avviso del tipo “attenzione stai uscendo da Facebook”; era, senza accorgersene, la versione elettronica di un’altra famosa battuta, quella del giornale londinese che titola “Nebbia sulla manica, il continente è isolato”.
Per qualche tempo l’ipertrofia gigantesca del numero dei suoi iscritti ha consentito a Facebook di continuare a ragionare come se Facebook fosse un universo a sé stante dentro la rete Internet: 500 milioni di profili che, non infrequentemente, specie in paesi con bassi tassi di crescita di Rete come il nostro, hanno davvero creato migliaia di nuovi utenti minimamente consci di cosa esistesse fuori dai confini del proprio social network preferito.
Poi, lentamente e per fortuna, la muraglia di Facebook ha iniziato a fare i conti con il resto della Rete, gli alert sono scomparsi e il social network ha iniziato a ostacolare sempre più vistosamente le aspettative di privacy dei propri utenti e a vendere dati e status update ai motori di ricerca come chiunque altro. Non poteva del resto essere altrimenti, visti gli infruttuosi e ripetuti tentativi di monetizzare diversamente i profili della clientela rimanendo dentro i confini confortevoli del social network. E oggi l’annuncio dell’apertura di una webmail che faccia concorrenza a Gmail è tanto significativa nella logica del ritorno di Facebook verso la rete Internet da assomigliare ad una cattiva idea. Anche se si parte da 500 milioni di utenti, anche se Microsoft darà una mano.
Chi segue le cose di Internet ricorderà perfettamente le ricerche e gli studi sulla fine della posta elettronica, strumento reietto e mille volte sbeffeggiato negli ultimi anni per lo meno dall’utenza più giovane della Rete. La posta elettronica depressa dallo spam, bruciata sul tempo dalla freschezza sincrona dei sistemi di messaggeria e poi, infine, definitivamente affondata dalla posta interna di Facebook, nuovo standard de facto – diceva qualcuno – della comunicazione testuale ai tempi delle reti sociali.
Impossibile non farsi venire alla mente il Mark Zuckerberg immaginato da Aaron Sorkin in “The Social Network”, pellicola nelle sale cinematografiche in questi giorni : un bravo ragazzo in fondo, altalenante fra autismo e grande talento, fra arroganza e sensibilità infantile, con tutto il corteo di immense complessità che circondano e complicano in un istante una grande idea esplosa fra le mani.
Il percorso di Facebook in questi anni risolve questa ambiguità, la declina nel solito altalenare fra esigenze di protezione e esposizione pubblica, fra la costruzione di una nuova rete indifferente alla Internet conosciuta e il desiderio sempre più forte di esserne parte attiva: la presentazione della webmail annunciata per oggi serve se non altro a dismettere ogni dubbio sul proprio vizio di immaginarsi differenti.
Facebook è tuttora una grande startup, ancora senza troppe idee su come fare i soldi, eppure i commentatori di tutto il mondo parlano in questi giorni di un nuovo dualismo con Google per la conquista della rete Internet. Forse è presto per dirlo, forse l’annuncio di un nuovo servizio di posta elettronica non è sufficiente per immaginarlo. Più probabilmente Facebook da oggi inizia a raccontare se stessa per quello che è sempre stata. Una azienda Internet come tante altre: con molti utenti in più e idee ancora stabilmente confuse su cosa fare da grande. Esattamente come accade con Google l’unica cosa certa è che anche Facebook crescerà o perirà maneggiando i nostri dati, le nostre foto, i nostri pensieri. Ed esattamente come accade con Google questa non è del tutto una buona notizia.
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