Se Mario Monti fa le faccine su Twitter siamo ormai al colmo del ridicolo o stiamo invece spalancando le persiane ad una nuova fenomenale alba digitale? Di questo si discute in questi giorni nella Rete italiana.
Da un lato stiamo parlando della nicchia della nicchia, un ex-bocconiano con ampie esperienze europee nel giro di pochi mesi si trasforma da tecnico prestato al salvataggio del Paese in candidato Premier a capo di uno schieramento eterogeneo. Come ogni candidato si trova immediatamente di fronte alla questione centrale della comunicazione politica: come raggiungere i miei potenziali elettori? Come convincerli a votare per il mio schieramento e non per altri?
Problemi di tutti, che tutti in Italia affrontano nella medesima maniera, vale a dire invadendo come possono ogni spazio televisivo, Prova del Cuoco compresa. I cittadini della Repubblica – ci ripetono da anni ricerche e statistiche – non leggono i giornali, navigano poco in Rete (e quando lo fanno in genere si siedono nel divano digitale delle piattaforme di rete sociale), guardano invece molta televisione. Un elettorato anziano, con modeste competenze tecnologiche e una vistosa allergia per ogni nuova forma di comunicazione, apprezzerebbe l’impegno che molti politici italiani sembrano dedicare a Twitter? Apparentemente no.
E allora come spiegarne la centralità nella comunicazione politica italiana degli ultimi mesi? Perché dedichiamo tante dotte analisi sulla efficacia dei messaggi in 140 caratteri di Monti o Vendola, di Bersani o Casini? Tutto questo avviene per una ragione molto semplice: Twitter in Italia si è guadagnato in questi ultimi tempi il ruolo di inedita agenzia di stampa. Le notizie che lo attraversano sono cibo per la stampa pronto per la pubblicazione. I tweet dei nostri politici digitali sono veline già impaginate, non solo nel contenuto ma anche nella forma. Non necessitano di alcuna conferma ulteriore, sono notizie già certificate alla fonte.
La discussione politica sui quotidiani e in TV parte ormai dall’ambiguità concisa di simili messaggi in bottiglia sui quali si costruiscono intere pagine di cronaca politica. In altre parole Twitter in sé resta ininfluente negli orientamenti elettorali ma gioca un ruolo di sponda balistica alla creazione della notizia: Monti scrive un improbabilissimo “wow” su Twitter e l’analisi di una simile forma verbale diventa domani pastone per i quotidiani e curiosità utile al telegiornali.
La discussione sui messaggi giovanilistici di @SenatoreMonti , o sul suo utilizzo pop delle emoticons, resta invece saldamente radicata in Rete dove si fronteggiano orde di social media manager a spiegarne pro e contro. Fa parte, con buone ragioni, della grande quantità di discussioni di Rete che non hanno titolo per uscire dalla Rete stessa. Molti dei temi a cui siamo da anni affezionati subiscono il medesimo trattamento e nel breve passaggio da Internet al mondo fuori perdono ogni attrattiva e centralità. La rete neutrale, il valore del passaparola, il diritto all’accesso, la cittadinanza digitale, la condivisione dei contenuti, sono argomenti destinati a svaporare all’istante quando escono dai nodi del TCP/IP.
Tutto questo filtro di realtà ha due possibili letture. La prima è quella secondo cui si tratta di un fenomeno fisiologico e persino opportuno: Internet come grande serbatoio di discussioni irrilevanti che non hanno alcuna necessità di trasformarsi in temi di confronto sociale. La seconda che il costante rimbalzo di simili argomenti dalla Rete, a ritroso verso la Rete stessa, descriva una sorta di incomunicabilità su temi che a noi, dall’interno, sembrano importanti ma che nei bar, nelle piazze, nei mercati rionali, nelle aule di tribunale e in Parlamento, continuano ad essere ampiamente ignorati. La dimostrazione di una sorta di aterosclerosi culturale che contribuisce a rendere il rinnovamento sociale in questo paese asfittico e poco praticato.
La prossima campagna elettorale sarà un ennesimo banco di prova per confrontare simili istanze di conservazione e rinnovamento. Nel frattempo l’adozione di Twitter da parte della politica Italiana ha assunto il valore che avevano i blog alle precedenti elezioni politiche: una generica dichiarazione di modernità espressa senza alcun imbarazzo, annunciata a tutti e raccolta invece, come sfida comunicativa, solo da quattro gatti dentro il circuito delle conversazioni di Rete. Un piccolo circo Barnum allestito spesso con grande superficialità e destinato ad una rapida amnesia il giorno della chiusura delle urne.
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