Parte negli Stati Uniti la sperimentazione degli occhiali di Google. Ed è un progetto molto interessante, pur se leggermente intossicato dal contest online che permetterà di scegliere a chi affidare in prova (alla modica cifra di 1500 dollari + tasse) il prodotto del momento. Qualsiasi sia il vostro parere sui contest online anche solo l’idea di cercare di capire quali potranno essere gli utilizzi preferiti dagli utenti dei nuovi schermi indossabili di Mountain View, allargandone la sperimentazione in una fase molto precoce dello sviluppo, è una idea intelligente ed umile che merita rispetto.
Gli occhiali di Google uniscono in un solo progetto due temi legati all’innovazione molto differenti: un tema tecnologico puro che è attualmente non troppo oltre il livello iniziale e che attiene a funzionalità e utilizzi del device, ed un tema sociologico che invece prova ad interpretare in maniera inedita i rapporti fra umani e macchine.
Mentre l’aspetto tecnologico si occupa di nuovi modi per far cose che già ora facciamo, l’esplorazione sulle tecnologie indossabili incide con molta decisione sul nostro rapporto fisico con l’ambiente intorno. E francamente oggi sapere se i Google Glass saranno WiFi o Bluetooth, se avranno batterie più o meno potenti o registreranno video ad alta o bassa risoluzione è assai meno interessanti del chiedersi se simili e altre protesi cambieranno (e come) il nostro modo di camminare per strada, spostarci, incontrare le persone alla fermata dell’autobus.
A questo proposito non è casuale che Isabelle Olsson che insieme a Steve Lee si occupa del progetto spieghi a Johsua Topolski di The Verge che alcune idee sulle lenti indossabili le sono venute osservando persone in fila a testa bassa impegnate a digitare sui piccoli schermi dei loro smartphone alla fermata del bus. Del resto chiunque di voi abbia camminato recentemente nelle strade del centro di una città tecnologicamente sviluppata sa perfettamente che pochissimi ormai prestano la necessaria attenzione alla linea dell’orizzonte ed allo scenario intorno, impegnanti come sono ad armeggiare con i propri dispositivi portatili (tanto che io spesso mi sono chiesto quanto manchi prima che la segnaletica delle grandi metropoli inizi ad essere indicata direttamente sul marciapiede in modo da essere meglio identificabile dai passati a capo chino).
Il tema sociologico degli occhiali di Google ha a che fare con una vecchia formidabile frase contenuta in una pubblicità IBM di molti anni fa ed è quello, ansioso e risentito, dell’attesa delle macchine volanti. Ci avevate promesso le macchine volanti! Dove sono le macchine volanti? A differenza del nuovo tablet, del telefono sottilissimo, del computer da scrivania di grande impatto estetico, tutti pezzi di tecnologia che si evolvono in maniera lineare, i computer indossabili, nel momento in cui riescano ad uscire dalla dimensione “macchine volanti” tracciano una linea netta fra il prima ed il dopo, alterano con maggior decisione le nostre prerogative sociali, cambiano in definitiva le nostre vite molto più del passaggio dal WiFi G al WiFi N.
E se allo stato non siamo ancora troppo distanti dal rimbrotto sulle macchine volanti che non arrivano, va comunque sottolineato che il progetto di Google, insieme a pochi altri, esplora per la prima volta concretamente parti di innovazione tecnologica che sono fino ad oggi rimaste chiuse nei laboratori o peggio dentro i libri di fantascienza.
Come sempre non è detto che si tratti per forza solo di un miglioramento. Per esempio il fatto che gran parte dei comandi dei Google Glasses siano, allo stato, comandi vocali, fa prevedere nuove inedite forme di inquinamento dell’ambiente pubblico perfino più deplorevoli di quella di incocciare in un palo mentre si scrive un SMS camminando. Nello stesso tempo le frontiere dell’innovazione che riguardano le macchine volati (ed i computer indossabili ed i google glass) sono le uniche per le quali valga davvero oggi la pena entusiasmarsi. E preoccuparsi e meravigliarsi.
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