Urla e grida di dolore da tutto il mondo connesso. Queste, in poche parole, le conseguenze dell’annuncio da parte di Google della chiusura di Google Reader il prossimo 1 luglio. Al di là delle questioni squisitamente tecnologiche, la chiusura dell’aggregatore RSS più utilizzato del mondo ha molti differenti livelli di lettura.
Possiamo intanto considerare la scelta di Google come una scelta di realtà. Certo BigG vanta numerosi piccoli conflitti di interesse nei confronti di una simile valutazione; altrettanto certamente il giocattolo è suo e nessuno potrà eccepire granché al riguardo. Scelta di realtà significa prendere atto di un fallimento dei feed RSS basato sull’analisi della loro parabola di utilizzo in Rete. In altre parole gli RSS, nonostante siano in giro da anni, non hanno sfondato, benché nel tempo siano stati ampiamente proposti dai siti editoriali professionali e dalle piattaforme di self publishing come strumento principe di filtro editoriale.
Seconda motivazione possibile: in un momento di grande crisi del sistema informativo, i feed RSS e gli aggregatori di news sono identificati come un presidio tecnologico che ostacola la monetizzazione dei contenuti. Se ci fosse un dietrologo bravo oggi potrebbe sostenere che lo spegnimento di GReader è un piccolo favore che Google offre all’industria delle notizie. Personalmente non arrivo a tanto, è però un dato che i flussi RSS sono assai complessi da monetizzare (i tentativi in tal senso in passato sono andati in malora) e sono sostanzialmente in contrapposizione con l’idea sitocentrica che i grandi editori sostengono per la loro presenza online. In fondo Google News, che tante tensioni in Europa sta creando agli affari di Mountain View, è di fatto un aggregatore.
Poi c’è la faccenda social network. Detto con molta semplicità: se gli editori temono i processi di editoria personale in Rete, l’ossessione attuale di Google riguarda invece il controllo dei dati degli utenti sulle reti sociali. Pensare che gli utilizzatori di Google Reader migrino in massa verso G+ è una follia bella e buona ma molte delle scelte più importanti che Google ha intrapreso negli ultimi tempi (compresi alcuni azzardati rimaneggiamenti nel search) sono scelte del medesimo segno ed indicano una chiara intenzione di spostare a qualsiasi costo i propri utenti sul social network casalingo nel tentativo di far concorrenza a Facebook. A tale proposito andrebbe detto chiaramente che l’immersione prolungata delle notizie nella melma bollente dei social network è un bel vantaggio per le piattaforme di rete sociali e una discreta iattura per gli editori ma questo è un altro discorso.
C’è un inevitabile passatismo nel tentare l’apologia dei feed RSS e di Google Reader in particolare, ed è quello che sulle prime questo Contrappunti si era proposto di non fare. Volevo tentare una analisi fredda e distaccata della questione, senza cadere in sciocche nostalgie o residue speranze di rivincita da parte di un accrocchio tecnologico tanto affascinante quanto oscuro. Esiste del resto una sorta di crudeltà dei numeri con i quali occorre misurarsi. E i numeri dicono, non da oggi, che i feed RSS non saranno mai un presidio tecnologico per le grandi masse. Non tanto e non solo, io credo, per ragioni di alfabeto tecnologico quanto per tutto il lavoro intellettuale che la loro gestione impone.
Molti di noi trovano ogni mattina apparecchiata sul desktop, sul tablet o sullo schermo del telefono la propria dieta mediatica compressa dentro un aggregatore di feed. Si tratta di una dieta calibrata fino alla singola caloria, aggiornata nel tempo, curata come si farebbe con un cucciolo. Sappiamo da tempo – perfino Google lo sapeva – che un simile approccio all’informazione non potrà mai essere ampiamente utilizzato.
Il pubblico delle news fai-da-te resterà comunque luminosa minoranza rispetto ai tanti che continueranno a preferire che la propria dieta sia confezionata con maggior praticità e in grande serie da altri cuochi. Alcuni di questi cuochi, i più innovativi sono al momento chini sui fornelli senza tesserino (pensate a Zite , o Flipboard , o Pulse ) ed occupano uno spazio di creatività che certamente l’industria editoriale vorrà prossimamente rinegoziare. Altri cucinano da tempo per le grandi masse e la loro convivenza con le mille piccole nicchie di Internet è già da tempo sufficientemente complicata.
In mezzo a tutta questa confusione Google ha inteso creare una grande discontinuità fra sé stessa e una certa idea di Rete. Quella stessa idea di Rete basata sulla venerazione della diversità e delle nicchie di interesse che – guarda caso – contribuì a suo tempo a rendere Google grande e ammirata. Non saremo forse di fronte ad Edipo che uccide il padre, ma certo un bel calcio nello stomaco, di quelli sciagurati e stupidi, Google al proprio genitore in questo caso glielo ha allungato sul serio.
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