Contrappunti/ L'era di Internet

Contrappunti/ L'era di Internet

di M. Mantellini - Più del decreto Pisanu, ormai una tradizione, sul destino della Internet italiana pesa la cultura politica e sociale del paese. Cambiare quella significherà anche democraticizzare la regolamentazione del Web
di M. Mantellini - Più del decreto Pisanu, ormai una tradizione, sul destino della Internet italiana pesa la cultura politica e sociale del paese. Cambiare quella significherà anche democraticizzare la regolamentazione del Web

Come era ampiamente atteso il Governo, nel decreto mille proroghe, approvato con grande italianità il 31 dicembre, ha dato l’avvio alle procedure di estensione a tutto il 2010 della normativa Pisanu che limita l’accesso WiFi per ragioni di antiterrorismo. Molti sostengono che l’obbligo di identificazione legato al decreto (una iper-regolamentazione nostrana che non ha riscontri negli altri paesi) non sia direttamente responsabile di grandi danni in termini quantitativi di accesso alla Rete. Quello che è certo è che le aspettative libertarie legate alla condivisione senza fili sono negli anni rapidamente rientrate un po’ in tutto il mondo.

Quando qualche tempo fa ci si rese conto che esisteva una tecnologica molto efficace e poco costosa per collegare senza fili computer a Internet e che tale tecnologia, ampiamente sottovalutata dalle aziende tecnologiche, era emersa, per una volta, direttamente fra i suoi stessi utilizzatori. In molti immaginarono la rapida crescita di una nuova grande rete condivisa wireless nella quale i singoli utenti condividevano il proprio accesso fisico a Internet, rendendone disponibile una parte, gratuitamente, a chiunque lo desiderasse fra quelli che passavano nei pressi.

I primi progetti del genere a San Francisco e New York guadagnarono rapidamente l’attenzione dei media ed erano figli, come molti altri di segno diverso, della lungimiranza di un regolatore (la FCC americana) che decise fin da subito di lasciare libere frequenze e protocolli, immaginando che il mercato e l’iniziativa privata ne avrebbero tratto giovamento.

A distanza di qualche anno va detto che i risultati in termini di condivisione dell’accesso non sono stati entusiasmanti. Se si guarda il panorama attuale, non solo le piattaforme pensate dai cittadini per i cittadini hanno dichiarato sostanziale fallimento, ma anche i progetti ibridi come FON o le grandi aspirazioni centraliste e democratiche delle reti civiche (dove l’amministrazione si fa carico di fornire accesso gratuito WiFi nelle strade delle città) hanno deluso in buona parte le attese e ridimensionato un po’ in tutto il mondo, quando non cancellato del tutto, i propri progetti di copertura.

Se in realtà provinciali e chiuse come quella italiana la politica ha rapidamente svolto la sua funzione di grande livellatore di ogni aspirazione innovativa, accogliendo supinamente le preoccupazione delle aziende della telefonia che vedevano nel WiFi libero un teorico concorrente alle proprie attività commerciale (ciò è avvenuto in tempi diversi prima con la legge Gasparri e successivamente con il Decreto Pisanu), altrove una minor compromissione dello scenario normativo ha comunque generato effetti concreti non troppo differenti.

In alcuni paesi come la Francia le principali telco hanno sviluppato reti WiFi proprietarie discretamente diffuse sul territorio nazionale: per il resto, anche in Europa, l’accesso wireless è rimasto confinato a pratica locale e casuale, le reti aperte dei cittadini sovente demonizzate come pericolose, quando non ritenute dichiaratamente illegali.

Nonostante questo la gestione lobbistica di questa tecnologia da parte del governo di questo paese era e resta una pratica becera e di breve respiro, non distante dalle tante altre scelte in materia tecnologica prodotte sia sotto governi di centrodestra che di centrosinistra.

L’unico aspetto minimamente positivo è che, rispetto a qualche tempo fa, sembra in qualche misura cresciuta la voglia italiana di discutere di simili tematiche, portandole all’ordine del giorno della discussione politica. Ne sono state prova, nell’anno appena terminato, la mobilitazione e le raccolte di firme contro il Decreto Pisanu ed i sempre più frequenti accenni, sulla stampa generalista, a tematiche fino a poco tempo fa confinate in discussioni di Rete o riviste per appassionati.

Come è avvenuto anche per altri temi legati a Internet è possibile che la grandissima crescita del numero di Italiani che oggi utilizza Facebook (oltre 10 milioni di persone, l’ 80 per cento nella fascia di età fra 19 e 24 anni) abbia avuto un ruolo nella emersione di questi argomenti.

L’ennesimo rinnovo di fine anno del Decreto Pisanu, a dispetto delle flebili motivazioni procedurali che vorrebbero in questi giorni giustificarlo (secondo alcuni parlamentari non ci sarebbero stati i tempi tecnici per le necessarie modifiche), resta comunque un segno di scarsa attenzione verso un ambiente, quello della Rete e della sua libertà, che la politica continua a rifiutare come estraneo e pericoloso.

Nello stesso tempo si tratta – per conto mio – anche di un tema da non sventolare troppo come se fosse la bandiera o il discrimine fra le nostre libertà di Rete. È assai più pericoloso, per i nostri interessi di utenti della Rete, un tavolo segreto fra il ministro dell’Interno e una serie di soggetti gestori dell’accesso e delle piattaforme (una sorta di tentativo di regolamentazione oligarchica e non trasparente delle pratiche di Rete), che non il rinnovo di un decreto stupido e controproducente che perfino il suo creatore oggi, col senno di poi, descrive come inutile.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
4 gen 2010
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