La metafora adatta è semplice e alla portata di tutti ed è strano che il Presidente di Agcom Angelo Marcello Cardani non la capisca. Ed è la metafora della piazza come luogo e dei cittadini che la frequentano come soggetti delle relazioni sociali. È un peccato perché l’idea stessa di piazza virtuale è vecchia ormai di oltre un decennio e se nel frattempo l’aggettivo virtuale è stato meritatamente dimenticato, la parola piazza resiste e resta a nostra disposizione ancor oggi, utile a descrivere, per analogie, il misterioso mondo della Rete a quanti non lo conoscono e non lo frequentano.
Se Internet è da sempre un luogo molto prima di essere un medium, molte delle idee che ci hanno fatto comodo fino a ieri per rappresentare e difendere diritti e democrazia nella comunicazione di massa diventano improvvisamente non solo inutilizzabili ma anche, in qualche misura, prevaricatrici e reazionarie.
Possiamo permetterci di controllare ed indirizzare la libera espressione di cittadini che si incontrano in piazza e confrontano punti di vista e impressioni – per esempio sulla campagna elettorale in corso? Possiamo immaginare, anche solo lontanamente, che un simile luogo possa essere vigilato e transennato in nome di una esigenza superiore di equilibrio e medietà fra i candidati al Parlamento?
Ovviamente no, chiunque lo può comprendere: il Presidente Cardani pensa invece che, senza troppe complicazioni, Internet sia semplicemente uno dei tanti strumenti di comunicazione di massa che orientano, educano ed eventualmente distorcono l’ideazione democratica dei fragili cittadini della Penisola e che come tale, almeno in periodi sensibili, vada in qualche misura controllata. E pensandolo immagina, per un futuro al passo coi tempi che cambiano, una sorta di par condicio in qualche misura (in quale misura ovviamente non lo dice) estesa anche al Web.
L’idea è folle e come tale, per amore del paradosso, meriterebbe di essere ulteriormente approfondita (lo ha fatto per esempio Fabio Chiusi sul suo blog) se non fosse che nel momento in cui ci accingiamo a farlo, più che nuove frontiere di equilibrata comunicazione preelettorale adeguata ai tempi correnti (la legge sulla par condicio è del 2000), vengono immediatamente alla mente, per analogie involontarie ma inevitabili, altre passate esperienze storiche in cui il controllo dei cittadini riguardava non solo le manifestazioni del pensiero liberamente esposto ma anche i luoghi privati o presunti tali. Il grande orecchio del despota desideroso di risalire la corrente su fino al pensiero appena concepito nella testa del dissidente.
Non è colpa del Presidente di Agcom, al quale certo non vogliamo attribuire aspirazioni degne della Stasi, il quale evidentemente esprime idee personali tanto in buona fede quanto curiose, ma è semmai colpa del sistema Italia che continua a scegliere, per le posizione in cima alla piramide gerarchica del proprio apparato decisionale, persone spesso inconsapevoli dei temi che affrontano. Il Governo dei tecnici non ha avuto alcun peso nella composizione del nuovo Consiglio Agcom (tranne per la figura stessa di Cardani indicata direttamente da Mario Monti) e tutto si è risolto all’interno della usuale logica spartitoria fra i partiti, un sistema che ha mantenuti nell’ultimo decennio Authority nelle quali sovente la fedeltà dei Commissari ai propri referenti politici superava le competenze minime richieste.
Ma se il Presidente Cardani sostiene pubblicamente e con svagata leggerezza che applicare la par condicio ai social network sarebbe utile e possibile, il punto non è tanto quello di incuriosirsi su quali possano essere i percorsi per applicare queste nuove garanzie democratiche ai cittadini italiani su Facebook, ma su quali siano invece i percorsi, ben più accidentati e impervi, per mettere a capo di uno dei principali organi di garanzia del Paese persone che quando parlano apertis verbis abbiano una idea anche solo vaga della complessità dei temi che stanno trattando.
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