Steve Jobs non terrà il suo ormai usuale keynote al Macworld del prossimo gennaio. La notizia è stata ufficializzata nei giorni scorsi da Apple dopo che per alcune settimane si erano diffusi in rete dubbi e preoccupazioni sui ritardi di presentazione dell’evento sul sito ufficiale della manifestazione.
Le ragioni ufficiali di un simile disimpegno sono che Apple da tempo intende svincolarsi da simili eventi nei quali è sostanzialmente ospite in casa d’altri e dove gli oneri – dal suo punto di vista – supererebbero gli onori. Per esempio, l’onere di dover avere nuovi prodotti da presentare esattamente per quella data.
Le ragioni meno ufficiali che in molti mormorano è che le condizioni di salute di Jobs, di cui si è discusso tanto in questi mesi, abbiano un ruolo in questa rinuncia. Se è vero, come Apple ha dichiarato, che questo sarà l’ultimo anno in cui l’azienda di Cupertino terrà un keynote a Macworld, perché affidarne la conduzione a Phil Shiller, uno dei più stretti collaboratori di Jobs, rinunciando all’ultima esibizione sul palco del Moscone Center per il boss di Apple?
Mentre è inutile fare ipotesi sulle condizioni di salute di Jobs, va forse sottolineato quello che ad Apple sanno perfettamente e cioè che oggi non esiste al mondo altra azienda che, come quella della Mela, sia identificata nell’immaginario collettivo con la figura del suo capo. Come è stato assai evidente in questi mesi, anche quando sulla stampa sono usciti, pur se per i pochi minuti necessari a rendersi conto dell’errore, intempestivi necrologi su Jobs, le sole incontrollate indiscrezioni sulle condizioni di salute di Jobs sono capaci di creare gravi perturbazioni sul titolo borsistico. Lo stesso annuncio della mancata partecipazione di Jobs all’evento del 6 gennaio prossimo è stato sufficiente per muovere al ribasso il titolo Apple.
E allora forse sono proprio questi segnali e queste constatazioni a farci dire che la scelta di svincolare il più possibile Apple dal suo fondatore è una scelta corretta, anche e soprattutto dal punto di vista del rispetto per la persona Steve Jobs che, per quanto personaggio pubblico e notissimo, davvero non merita di essere cosi violentemente legato al destino della sua azienda.
Liberare Steve Jobs potrebbe essere uno slogan e non quello, di segno opposto di chi in rete in queste ore ha proposto una sorta di protesta silenziosa durante il prossimo keynote per manifestare il dissenso tanto diffuso per la mancata presenza della figura mitica dell’azienda della Mela, ormai consegnata alla storia dentro i suoi jeans, le sue magliette dolcevita e le sue scarpe da jogging.
Liberare Steve Jobs perché davvero è piuttosto deprimente sapere che, dato il legame indissolubile fra Apple e Jobs, anche nel caso di un eventuale peggioramento delle condizioni di salute del capo, un dato questo eminentemente privato della “persona” Steve Jobs, Apple dovrà comunque darne comunicazione alla SEC (l’organismo di controllo della Borsa) per le evidenti possibili implicazioni che simili informazioni possono avere sul titolo azionario.
Liberare Steve Jobs perché anche per un personaggio eminentemente pubblico come lui esistono dei limiti agli obblighi di esposizione mediatica a soddisfare i suoi tanti fans e le pruderie degli uffici marketing che vedono le “messe civili” sul palco del Moscone Center come l’esempio da seguire per massimizzare esposizione della filosofia aziendale e dei suoi prodotti.
Si tratta del resto di una alchimia tanto efficace quanto difficilmente replicabile e forse anche in questo è possibile comprendere la grande delusione che in rete si è manifestata quando si è diffusa la conferma della fine di una era. Quella di una azienda perfettamente sovrapponibile, nei modi e nella estetica, alla figura della propria guida. Un legame certamente affascinante, non necessariamente salutare.
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