Qualche anno fa Giuseppe Vita, presidente di Axel Springer AG, il maggior gruppo editoriale tedesco, venne in Italia invitato alle Venice Sessions a raccontarci che l’azienda per cui lavorava era entusiasta della Rete: dei 10 portali del gruppo – disse allora – 6 erano già (parliamo del 2009) in attivo. Insomma, il gruppo editoriale che manda in stampa ogni giorno la Bild, il più diffuso quotidiano tedesco, non stava soffrendo per l’avvento dei media digitali.
Qualcosa deve essere cambiato da allora visto che la settimana scorsa la lobby degli editori tedeschi, con Axel Springer fra gli ispiratori, è riuscita a portare in parlamento un disegno di legge di riordino del diritto d’autore in Germania pensato per garantire maggiori introiti agli editori su Internet, in particolare imponendo a motori di ricerca e aggregatori una sorta di obolo sul diritto di citazione: secondo il disegno di legge le anteprime delle notizie che possiamo trovare su Google News o su altri motori in Germania dovranno essere pagate, visto che spesso chi se ne appropria guadagna denaro da simili contenuti esponendo pubblicità sulle pagine che le mostrano.
È abbastanza incredibile come simili grandi pensate si ripetano con minime differenze da anni, ad occupare quel vasto territorio di mezzo fra l’innocenza e l’impudenza. Gli editori, un po’ in tutto il mondo, vorrebbero mantenere il grande traffico che i motori di ricerca portano sulle loro pagine ma lo vorrebbero poter gestire come pare a loro. Gli piacerebbe per esempio evitare il deep linking, che interferisce pesantemente sulla linea editoriale, ma, in tempi di vacche magre, vorrebbero anche che i grandi mediatori di rete (di cui sono pazzamente gelosi) corrispondessero un prezzo minimo perfino alle anteprime delle notizie che aggregano e che poi servono a ridirigere il traffico sui loro siti. Il che è francamente un po’ troppo.
In questa questione tutta ideologica la tecnologia, come diciamo sempre, viene in soccorso a tutti. Nel caso dei motori di ricerca che “copiano” le notizie dei siti informativi per arricchirsi, nessuno ricorda mai la più banale delle banalità: dai motori di ricerca è possibile non essere indicizzati. E siccome né Google né Bing hanno una redazione di amanuensi che a manina ricopiano le preziose notizie giornalistiche, basterebbe una mossa del genere, alla portata anche del più modesto sistemista, per risolvere alla radice il problema del furto dei contenuti.
Evidentemente la questione risiede altrove. E questo altrove incide pesantemente nella essenza stessa della rete Internet. Per questa ragione disegni di legge come quello tedesco sono pericolosi e indecenti perché, per venire incontro alle esigenze di una potente lobby in crisi, rischiano di minare alla radice i diritti di tutti, anche scivolando poi al di fuori della diatriba editoriale. Del resto il peggiore degli scenari previsto dal disegno di legge in questione non è una ipotesi irrealizzabile: è successo più volte, per esempio negli Stati Uniti negli ultimi 50 anni, quando si è trattato di valutare l’estensione del diritto d’autore. Gli interessi di pochi hanno quasi sempre trionfato, in sede legislative e nelle aule dei tribunali, sui diritti della collettività.
Ci sono ottime probabilità che il disegno di legge tedesco finisca in un nulla di fatto, leggo che fra i partiti tedeschi non ha raccolto particolari entusiasmi; nonostante questo è piuttosto evidente che un paio dei mattoni fondanti della architettura stessa della rete Internet sono oggi, come molte altre volte in passato, in pericolo. Il diritto di link da un lato e quello di citazione dall’altro non dovrebbero avere limiti o stringenti condizioni d’uso. Che si utilizzi l’ombrello del termine fair use o si immagini un analogo regime di tutela largamente riconosciuto, la salute della rete passa per il “liberi tutti” riguardo a questi due essenziali mattoncini.
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