Roma – La tesi di Giuliano Da Empoli, esposta nel suo recente bel libretto “Overdose, La società della informazione eccessiva” (Marsilio, 9 euro) è che l’eccezionale numero di informazioni alle quali siamo ogni giorno sottoposti e la pervasività assoluta del flusso informativo che non ci abbandona ormai in nessun momento della nostra vita, non siano tanto un valore quanto un pericolo. Che l’overdose cognitiva sia il risultato del nostro immobilismo nell’elaborare i flussi sempre più ampi di dati che ci raggiungono attraverso la radio, la TV, il fax, il telefono, la posta elettronica, il web etc.etc.
Ho saputo di questo piccolo testo da una recensione di Luisa Carrada su “Il Mestiere di Scrivere” e devo dire che leggerlo mi è servito ad infrangere per lo meno un paio di miei personali tabù. Il primo è quello secondo il quale gli “scrittori giovani” si rivelino puntualmente dei bluff, che le citazioni ad effetto, i paroloni, i lunghi esercizi di stile siano il paravento dietro il quale nascondere una maturità ancora da conquistare. Nel libro di Da Empoli (classe 1973) non si trova nulla di tutto ciò e le pagine scorrono chiare e ben scritte pur trattando un argomento, quello della sociologia della comunicazione, prevedibilmente difficile e noioso. Il secondo tabù che Overdose, nonostante il brutto titolo, ha infranto, è stato quello della pochezza delle analisi partorite in Italia sulle nuove tecnologie e sui loro effetti sulla società. Il lavoro di Da Empoli è forse il primo esempio di saggio tecnologico, fra quanto ho letto negli ultimi tempi, ripulito dalla polvere di un intellettualismo fine a sè stesso e restituito al ragionamento di tutti.
E proprio per questo, fatte volentieri queste premesse, mi permetto di discutere rapidamente un paio di questioni che il testo affronta.
La tesi centrale del libro è che l’evoluzione tecnologica abbia rubato tempo alla elaborazione culturale della informazione privilegiando di gran lunga la quantità e la continuità del flussi di notizie alla loro comprensione. La conseguenza di tale situazione sarebbe che – secondo l’autore – si prospetta per il futuro un nuovo digital divide basato sulla capacità individuale di comprensione e filtraggio dei dati piuttosto che sulla possibilità di accedere o meno ai dati stessi.
Trovo si tratti di una tesi che precorra un po’ i tempi, viziata forse da qualche connotato snobistico di troppo.
Come è possibile affrontare i problemi (eventuali) di domani senza pensare prima a quelli (certi) di oggi? L’ambito di ricerca di Da Empoli è sicuramente quello della società occidentale o peggio delle sue minoranze più colte e “wired” ed il problema a tutt’oggi irrisolto, del diritto di accesso alla informazione, viene nel testo ridotto alla constatazione che, tanto, nel breve periodo, “collegarsi” diventerà una commodity, un “prodotto di base dal prezzo prossimo allo zero” .
Magari fosse così! Quel che è certo è che per ora, e ancora chissà per quanto, tale eventualità riguarda uno spicchio talmente piccolo degli abitanti del pianeta da risultare quasi insignificante. Dico questo evitando di citare il solito vecchio dato sulla metà degli abitanti del mondo che non hanno mai fatto una sola telefonata.
Scrive Da Empoli a pg 53:
“Vale la pena, quindi, di smentire l’ingenua retorica sulla base della quale la disponibilità a costi contenuti di un flusso di informazioni costante consentirebbe di ridurre le distanze socio-culturali tra gli individui e tra le aree territoriali”.
…e insomma, io personalmente fatico ad essere d’accordo.
E poichè da premesse sbagliate è faticoso arrivare a giuste conclusioni a pg. 101 l’autore ne deduce che:
“La stragrande maggioranza degli appelli in favore di un sistema educativo più inclusivo, che riduca il rischio di un possibile digital divide interno, continua ad essere fondato sull’idea che il problema sia costituito dalla esclusione dell’informazione. Mentre nella realtà il vero rischio che corriamo è quello opposto: l’esclusione attraverso l’informazione”.
Si tratta di un punto di vista interessante quello dell’esclusione attraverso l’informazione che avvolge tutto il libro e che riguarda solo alcuni. Dimenticarlo è un errore di prospettiva (o una presunzione) non trascurabile e contribuisce a considerare le “società avanzate” quel centro del mondo che davvero non sono. Che poi l’esclusione attraverso l’informazione sia un rischio concreto per una parte del mondo occidentale e magari anche per noi stessi è una tesi alla quale aderiamo in pieno.
E fra i rimedi prospettati da Da Empoli nell’ultimo capitolo, mi ha molto colpito ed interessato il “diritto alla disconnessione”, quella capacità di superare la retorica dominante secondo la quale essere connessi è un valore assoluto di per sè stesso.
Così questo articolo è stato scritto con una matita, su minuscoli fogli di un blocknotes di mia figlia, seduto su una panchina, nella quiete di una piccola città nel sud della Spagna. A pochi chilometri da quella frontiera invisibile in cui troppa informazione diventa nessuna informazione.