Si è scritto un po’ di tutto a riguardo della vicenda del grande ingorgo con vetri infranti, accenni di rissa ed interminabili file che ha caratterizzato l’apertura di un megastore romano di elettronica di consumo. Qualcuno è arrivato a citare Marx, altri hanno scomodato il Pasolini della “civiltà dei consumi”, la maggioranza dei commenti però ha scelto di analizzare questo episodio di impazzimento collettivo verso gadget tecnologici come iPhone, televisori LCD e computer portatili, nella sua accezione più ovvia: quella di un desiderio di modernità mediata dalla tecnologia. La tecnologia, insomma, come strumento di inclusione sia culturale che estetica.
Diecimila persone, che in una mattina di un giorno infrasettimanale bloccano il traffico di una buona parte della capitale nella speranza di aggiudicarsi un frammento di elettronica a prezzo di realizzo, rappresentano però anche qualcosa di segno diametralmente opposto: la metafora, una delle tante che questo paese continuamente ci offre, di una diffusa allergia al nocciolo tecnologico della innovazione.
Cosa c’è di più analogico di una città tappezzata di volantini rossi e blu che annunciavano l’imperdibile evento? Vi viene in mento qualcosa di più stupidamente inquinante, di più scomodo e vecchio, di più irriverente verso il senso comune dell’agitare l’esca di 100 iPhone a 99 euro per attirare migliaia di persone all’inaugurazione del nuovo gigantesco megastore? Intendiamoci, le tecniche di marketing sono lecite e funzionano, anche quando sono portate agli estremi come in questo caso: non vedo però nessuno che si chieda perché tutto questo accada.
È come se la città di Roma, al posto dell’e-commerce, che in questo paese langue come in pochi altri, abbia scelto di sperimentare una inedita versione che potremmo chiamare street-commerce: la cerimonia sociale di Ponte Milvio sembra la versione all’amatriciana delle composte file di fronte agli Apple Store di tutto il mondo il giorno della presentazione dei nuovi gadget. Con due sostanziali differenze: Apple non fa sconti a nessuno, alla illogica allegria dei commessi della Mela che accolgono con musichette, urla ed abbracci i primi della fila (un fenomeno sociale interessante e piuttosto triste), si sono, in questo caso, sostituite scazzottate e vetri rotti, traffico in tilt e disagi per tutti. Il leggero masochismo dell’utente Apple, desideroso di aggiudicarsi prima degli altri lo stesso modello di telefonino che domani tutti potranno comprare on line allo stesso prezzo, declinato in una versione più arrembante, provinciale e violenta, nella quale la vera chiamata alle armi è il risparmio promesso.
Il Sole24ore ha scritto che l’ingorgo di Ponte Milvio è figlio della crisi economica. Io sospetto che non sia completamente vero. L’inclusione tecnologica oggi non dipende in maniera sostanziale da una barriera economica in entrata. Non è vero (come molte cronache hanno riportato, citando un genitore in fila per acquistare un computer portatile alla figlia che dichiarava che se non fosse riuscito ad averlo a 99 euro sua figlia sarebbe restata senza computer per un altro anno) che il prezzo sia sempre una variabile fondamentale. Lo era forse fino a qualche anno fa: oggi l’acquisto di un computer (magari anche un PC usato vecchio di un paio di anni fa) o di un collegamento a Internet (magari un collegamento dati su rete 3G a 9 euro al mese) sono per le famiglie italiane una semplice scelta di opportunità che molti decidono di non fare, almeno fino a quando non leggono della ultima mirabolante offerta da raggiungere nel posto tale all’ora X.
Il gran casino di Ponte Milvio è figlio della nostra irrecuperabile “anzianità”. È una tara anagrafica complessiva, che riguarda l’organizzazione del paese, la sua visione e la difficile battaglia con una idea di modernità che continua a pagare un prezzo troppo alto alla estetica delle cose disinteressandosi del contenuto. La battaglia all’arma bianca per l’iPhone scontato non è la risposta scomposta e popolare di un paese inginocchiato dalla crisi economica, è invece l’ennesima rappresentazione della sua insensibilità tecnologica. Prendete i dati Eurostat dello sviluppo tecnologico dell’Italia, aggiungete le immagini della immensa fila di Roma nord, mescolate e lasciate lievitare in forno. La torta amarognola di un paese irrimediabilmente vecchio dentro è pronta per essere servita.
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