C’è una domanda civile e sensata che forse sarebbe utile porsi in questi giorni. E la domanda è: perché mai io, semplice cittadino italiano, dovrei fidarmi dell’Agcom? L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni cosa ha fatto in questi anni, da quando è stata istituita, per meritarsi non dico il plauso dei cittadini italiani ma anche solo un minimo di fiducia? La risposta, dal mio punto di vista, è che non c’è stata in questi anni nessuna buona ragione per eleggere l’Autorità, attualmente guidata dal presidente Corrado Calabrò, a garante dei miei diritti di utente dei servizi di telecomunicazioni. C’è un desolate panorama là fuori a testimoniarlo.
Così oggi, quando sento dire che quattro righe del decreto Romani affidano all’Agcom la spinosa gestione del controllo sulla liceità dei comportamenti di Rete, invadendo temi che riguardano la censura dei siti web e la condivisione fra pari dei contenuti, sfilandoli di fatto dalle procedure della magistratura ordinaria, penso non solo che siamo di fronte al solito tentativo sotterraneo di ridurre la Rete a più miti consigli avendo come parametro un mondo che non esiste più, ma che, ancora una volta, l’Authority Comunicazioni molte cose si prepara ad essere tranne che il Garante disinteressato dei diritti dei cittadini.
L’Agcom nasce del resto alla fine degli anni ’90 come Autorità indipendente ma, a differenza di Istituti di riferimento come l’Ofcom inglese, di indipendente ha sempre avuto poco o nulla. Decidete voi se per umorale ritrosia, interessi personali o politici dei suoi componenti o per umana ed oggettiva mancanza di potere decisionale. L’irrilevanza dell’Agenzia nel suo ruolo di difensore dell’interesse pubblico è palese, e deriva probabilmente da un mix di queste caratteristiche.
I membri dell’Autorità del resto sono soggetti indicati dal Parlamento con il bilancino tipico degli equilibri elettorali. Si tratta di otto commissari, mediamente “incompetenti” (ma questa è una caratteristica usuale delle nomine politiche) e ampiamente controllati dai propri referenti politici (si veda al riguardo l’ampio lavoro ai fianchi del commissario Giancarlo Innocenzi da parte del premier Berlusconi, ansioso di liberarsi di Annozero ). Otto rispettabili persone che non fanno altro che rappresentare le istanze del proprio schieramento di riferimento.
Così oggi un dirigente Ausl in pensione, un gastroenterologo, un medico legale, l’ex presidente della Federazione Editori giornali, un paio di avvocati, un direttore marketing e un dirigente di Publitalia (Antonio Martuscello, l’ultimo commissario recentemente eletto tra mille polemiche al posto del dimissionario Innocenzi bruciato dalle intercettazioni con Berlusconi) hanno annunciato di aver deciso all’ unanimità una consultazione pubblica che da un lato servirà – per usare le parole del Presidente Calabrò – “per favorire l’offerta legale di contenuti accessibili ai cittadini, dall’altro prevede azioni di contrasto per la rapida eliminazione dalla rete dei contenuti inseriti in violazione del copyright. Il tutto, nel rispetto del diritto alla privacy e alla libertà di espressione nonché tenendo conto del quadro tecnologico”.
Fuor di metafora e dopo aver tutti tirato un sospiro di sollievo, perché la prima bozza del documento proposto era demenziale e pericolosa come solo in Italia le normative per Internet riescono ad essere, quello che, protetti dalle belle parole, si sta cercando di fare, è eliminare l’impiccio dei diritti dei cittadini nel contenzioso che riguarda il diritto d’autore. L’interessato segnala la violazione dei propri diritti e l’Agcom rapidamente e senza troppi controlli chiude il sito web o lo cela agli occhi degli italiani se, come spesso accade, il server su cui risiede è fuori dall’Italia. È il vecchio sogno dell’industria dei contenuti che finalmente diventa realtà, liberarsi delle lente e barbose procedure a tutela dei cittadini previste dal codice. Un nuovo regno nel quale la discrezionalità dei più forti la farà da padrone.
Ci sono aspetti positivi nel documento in consultazione, è vero: come ad esempio aver finalmente capito dopo un decennio che la lotta alla pirateria online non la si fa trascinando in tribunale e minacciando l’utente finale, ma cercando di bloccare il grande diffusore di file piratati (e in questo, sempre più spesso, gli ISP saranno trasformati nei veri gendarmi di Internet). E ci sono specchietti per le allodole, utili a raccontare la favola che l’Agcom persegue un equilibrio fra diritti differenti, per esempio citando una generica ed evangelica accettazione delle cosiddette “licenze collettive estese”. Come se le forme contrattuali decise (in questo caso non decise) dall’industria dei contenuti potessero giovarsi dell’avallo del regolatore.
Ci sarebbe bisogno di molto d’altro invece. Intanto di una Autorità indipendente che non c’è (e che continuerà a non esserci perché non conviene a nessuno che ci sia). Perché, se ci fosse e se il suo compito fosse quello di gestire diritti e doveri dei cittadini e non i desiderata della industria sul diritto d’autore ai tempi di Internet, ben altri sarebbero i temi da mettere all’ordine del giorno. L’abolizione del carrozzone SIAE per esempio, la riduzione dell’estensione temporale del diritto d’autore che, come scriveva Lawrence Lessig inascoltato già molti anni fa, si è ormai trasformato da diritto temporaneo a prebenda eterna: ma, prima di ogni altra cosa, la valutazione banale ma dimenticata che i diritti alla conoscenza ed alla condivisione del pensiero dei cittadini vengono prima di quelli dei detentori dei diritti.
Prima: non è difficile da capire. Altro che “rapida eliminazione dalla rete”.
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