Fra gli eventi che accadono in rete ogni anno io trovo che il keynote di Steve Jobs al Macworld di San Francisco sia uno di quelli più divertenti e interessanti, anche per chi non è un amante dei prodotti della Mela. L’aspetto che colpisce maggiormente è infatti quello comunicativo. Apple nel tempo è riuscita a creare una sorta di affetto reiterativo nei confronti dei mille particolari che compongono lo show.
Un solo uomo sul palco per la maggioranza del tempo, anonima maglietta scura, jeans, scarpe da ginnastica, un enorme schermo alle sue spalle sul quale scorrono le immagini di una presentazione che lo aiuta a descrivere i nuovi prodotti. Un po’ di musica rock a contorno. In platea, una platea pur in gran parte composta da giornalisti ed addetti ai lavori arrivati da tutto il mondo, il pubblico, a intervalli regolari, si abbandona a piccoli applausi liberatori e sommessi sospiri di ammirazione. Il keynote di Steve Jobs a San Francisco merita di essere visto non foss’altro per questo, perché assomiglia ad un rito pagano, ripete ogni anno un protocollo cerimonioso sempre uguale, come accade a pochi altri eventi: la messa di natale, il concerto di capodanno ecc.
Questo accade all’interno del Moscone Center ma gli aspetti comunicativi dell’evento verso l’esterno, la capacità che le informazioni (o anche le semplici battute) appena pronunciate da Jobs hanno di uscire in tempo reale da quel luogo fisico a San Francisco per raggiungere i quattro angoli della rete e del mondo, sono altrettanto impressionanti. Poiché il keynote non è supportato da alcuna diffusione ufficiale in diretta, le informazioni sui prodotti Apple appena presentati ci raggiungono solo attraverso i report live dei mille commentatori presenti.
Da un paio d’anni a questa parte, su alcuni dei blog tecnologici più seguiti la diretta dell’evento avviene in una sorta di riedizione delle radiocronache calcistiche di Niccolò Carosio agli esordi del periodo radiofonico italiano. Tu aggiorni la pagina del blog (in Italia numerosi blog hanno seguito l’evento in diretta, da Macity a Melablog) e trovi frasi del tipo “Ecco in questo momento si spengono le luci e Steve Jobs sta salendo sul palco…..”. E la cosa in sé, nella sua essenzialità prototecnologica, ha qualcosa di affascinante (qualcosa di analogo mi accadde anni fa seguendo la “diretta” di un match a Wimbledon di Daniele Bracciali, cliccando in continuazione, in assenza di una TV nelle vicinanze, il tasto reload sulla pagina di live update del sito web del torneo). Quest’anno molti weblog come Engadget (che nel giorno del keynote ha avuto 10 milioni di contatti) o Macrumors, hanno anche corredato di immagini molto significative la diretta dell’evento. Molti utenti della rete hanno commentato in diretta sui sistemi di IM e chiacchierato su Twitter, dove era stato previsto un canale apposito per gli aggiornamenti live da San Francisco. Alcuni noti giornalisti italiani hanno poi eroicamente aggiornato i lettori del proprio blog semplicemente aggiungendo commenti spediti attraverso il telefonino.
Insomma, mentre le informazioni sui nuovi prodotti Apple uscivano come potevano attraverso i muri del centro congressi ed il rito si ripeteva sempre uguale e sempre diverso, mentre Eric Schmidt di Google o Jerry Yang di Yahoo raggiungevano il palco di corsa (letteralmente) dentro le loro tenute finto-casual (t-shirt sformata per Yang e camicia senza giacca con cravattone orrendo in puro stile yankee per Schmidt) per un discorso di ringraziamento di trenta secondi e due battute volanti con Jobs, a me impressionava invece l’aplomb vecchio stile del CEO di Cingular, Stan Sigman. Un signore in grisaglia, catapultato nel futuro della comunicazione con il suo foglietto da leggere al pubblico a capo chino, perfetto contraltare alle nuove prassi giovanilistiche che prevedono scioltezza e sorrisi ammiccanti, battute ad effetto e gestualità da stato pre-epilettico.
Sarà stato forse per questa anomalia che mentre i giorni successivi all’evento guardavo il video del keynote dal quale discendono queste note, mi è venuto in mente che Cingular è l’azienda che qualche tempo fa voleva registrare l’utilizzo delle emoticons nei messaggi di testo e che anche la battaglia legale appena nata per il trademark “iPhone” fra Cisco e Apple, mal si adatta al clima amicale ed informale trasmesso dal filmato. Come a dire: questo è cinema, il business – signori miei – è altrove.
Noi, in un giorno di gennaio, ci sediamo di fronte ad un computer (oppure se siamo molto fortunati saliamo su un aereo e andiamo a San Francisco a seguire in diretta l’evento), ascoltiamo con sussiego le parole dell’uomo che ai tempi del Macintosh ha mutato la nostra vita tecnologica (e che in cambio ogni volta che può ce lo sottolinea vigorosamente) interessati certo alla presentazione dei nuovi prodotti (per la cronaca spicciola quest’anno Apple ha dichiarato di aver “reinventato” il telefono, staremo a vedere) ma anche e forse maggiormente all’evento in sé, alle reazioni che scatena, alla fenomenale capacità di attirare attenzione in un periodo nel quale l’attenzione è un bene prezioso e terribilmente scarso.
Tutto è perfetto, ma basta un signore robusto che legge il suo fogliettino sul palco, un tizio che desiderava cavar soldi dalla combinazione di tasti duepunti-trattino-parentesichiusa, per farci tornare sulla terra. In attesa del keynote del prossimo anno, delle sue magie, delle sue fascinazioni e – come in ogni evento mediatico che si rispetti – dei suoi piccoli grandi inganni.
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