Roma – Anche in Italia, con qualche ritardo e ancora in maniera assai sporadica, si inizia a ragionare su alcune questioni importanti come la cosiddetta alfabetizzazione telematica. Qualcuno si chiede se sia davvero così pacifico che i bambini e gli adolescenti, durante il loro ciclo formativo, debbano sempre più spesso utilizzare i PC e la rete Internet per i loro studi. Ci si chiede poi se lo Stato, in conseguenza di questa necessità, debba attrezzarsi (come un po’ ovunque accade) per portare informatica e internet nelle scuole in dosi massicce.
Fino ad oggi in Italia il discorso è ancora di fatto confinato nei progetti per il futuro: restiamo un paese – checché se ne dica – dove i PC nelle scuole vengono utilizzati solo marginalmente, dove i laboratori di informatica sono un’eccezione spesso popolata di vecchi 386, dove i collegamenti alla rete, quando esistono, sono spesso al di fuori della portata non occasionale di studenti e insegnanti.
Nonostante questi nostri cronici ritardi, gli orientamenti italiani e dell’Unione Europea in materia sono assai chiari fin dal vertice di Lisbona del 2000: i nostri figli dovranno utilizzare i PC e Internet sempre di più e le scuole dovranno attrezzarsi di conseguenza in tempi brevi. Ricordo che in Italia, secondo tali piani, già dal 2003 il 25% delle lezioni si dovrebbe svolgere navigando in rete e con supporti multimediali il che, ne converrete, è discretamente umoristico.
Mentre in USA esiste da tempo un movimento più o meno vasto di oppositori a questo orientamento educativo mediato dal PC, in Italia, fino ad oggi, non ricordo di aver mai ascoltato alcuna voce autorevole contraria alla solita apologia del PC e di Internet come strumento di formazione per le future generazioni.
Per questo ho letto con interesse la netta presa di posizione del filosofo Umberto Galimberti che, sulle pagine della cultura di Repubblica di qualche giorno fa, ha affrontato la spinosa questione. L’idea di un computer per ogni studente non sembra piacergli per nulla e nell’articolo Galimberti si mostra assai scettico sulla possibilità di risolvere i drammatici problemi della scuola attraverso la tecnologia: “Che problemi vengono risolti introducendo Internet in ogni scuola?” Che cosa si perde quando si adotta una nuova tecnologia?” si chiede.
Si tratta di domande importanti per tutti. Credo che sia oggi necessario ragionare su queste cose e farsi una idea, autonoma dall’onda dominante, su cosa sia realmente utile (e cosa no) per i nostri figli. Purtroppo le scelte dei governi europei in materia di investimenti informatici per le scuole, non sono state precedute da alcuna elaborazione culturale. Nessun ragionamento è stato tentato su cosa sia meglio per noi, sulle differenze (che ci sono e macroscopiche) fra il nostro modello educativo e quello americano, sulle opportunità o sugli eventuali rischi che certe rivoluzioni portano con se. L’Europa politica, un paio d’anni fa a Lisbona ha deciso che il futuro della scuola sarà fortemente mediato dal PC, ma lo ha fatto senza aver nessun elemento serio di valutazione in mano, sulla scia emotiva di un successo della new economy che oggi sembra già lontanissimo e del troppo facile assioma nuovo = buono.
Così oggi, esattamente come in USA da qualche tempo, qualcuno inizia fortunatamente a porsi il problema. Galimberti prende spunto dall’ennesimo saggio anti Internet di Clifford Stoll ( Confessioni di un eretico high tech, Perchè i computer nelle scuole non servono , Garzanti) per dichiararsi in accordo con le sue posizioni. E’ forse l’unico infortunio nel quale il filosofo incorre nel suo articolo, poiché Stoll, astronomo assai noto in rete per le sue posizioni anti Internet saldamente preconcette, di questa opposizione militante e incrollabile ha fatto una vera e propria professione. Non sembra davvero il caso di definirlo ” uno dei pionieri di Internet “: Stoll è stato semplicemente il primo a capire che fare l’oppositore per partito preso a Internet poteva essere una buona idea. Per intenderci, già nel 1995 nel suo saggio “Silicon Snake Oil”, il guru anti-internet scriveva, con totale sprezzo del ridicolo, che la posta elettronica è un sistema di comunicazione assai scomodo e che talvolta una email può essere più lenta di una lettera affidata al servizio postale. Steso quindi un velo pietoso sulla autorevolezza in materia di Clifford Stoll rimangono alcune considerazioni di Galimberti assai importanti che vorrei citare.
La prima è quella sul rapporto reale/virtuale: secondo Galimberti (e non solo per lui) esiste il rischio che un uso assai ampio dell’informatica nelle scuole marginalizzi la realtà fisica rispetto a quella simulata, creando una riduzione dei processi di socializzazione. Ho idea che si tratti di un problema concreto: non è un caso che fra i più strenui oppositori al progetto clintoniano di un PC per ogni bimbo (perfino negli asili) ci siano in prima fila accanto ad educatori, psicologi e insegnanti anche movimenti luddisti e associazioni vagamente new age “per il ritorno alla natura”. Sembra in ogni caso necessario cercare una linea di galleggiamento fra l’esperienza “sul campo” (scrivere, far di conto, sperimentare in laboratori reazioni chimiche e quant’altro) e la formazione mediata dai PC, poiché esiste un rischio concreto che l’immediatezza e la completezza del media elettronico, ed anche una certa pigrizia mentale di chi li utilizza, soverchino tutto il resto.
La seconda considerazione che mi pare degna di citazione è quella sulle modalità di giudizio. Non si tratta anche in questo caso di un discorso nuovo ma la possibilità teorica di accesso attraverso Internet ad una biblioteca universale sterminata non porta con sé alcuna garanzia sulla capacità di interpretare questa gran massa di informazioni da parte di bimbi e adolescenti. Ebbene, questo è un problema che più che gli studenti sembrerebbe dover riguardare gli insegnanti poiché è vero – come afferma Galimberti – che “50 minuti di lezione di un buon insegnante non possono venire liofilizzati in 15 minuti multimediali” ma è anche vero che l’accesso a Internet garantisce una facilità e una completezza di aggiornamento proprio per gli insegnanti stessi, e della quale Galimberti sembra dimenticarsi.
Ben vengano in ogni caso queste discussioni, anche quando, come in questo caso, le posizioni appaiono fin troppo nette. La calcolatrice non ha sostituito la necessità di imparare le tabelline e le simulazioni al computer non sostituiranno la realtà, nemmeno quando ogni studente di ogni scuola avesse a sua disposizione un PC. Nello stesso tempo nessun adolescente oggi credo intenda sostituire i rapporti con i propri compagni con l’uso di ” inespressivi SMS ” e la depressione, la timidezza e la solitudine – per citare alcuni problemi indotti dalle nuove tecnologie secondo Galimberti – sembra abbiano rapporti assai labili e risibili con esse. O così almeno pare a me.
Resta intatta per noi, nonostante tutto questo e le varie posizioni di ciascuno, la necessità di capire il mondo che cambia e di non accettare in modo acritico ogni meravigliosa novità che la tecnologia ci porta fin dentro casa. In tempi come questi di rapidissima evoluzione tecnologica si tratta, più che di un barboso esercizio intellettuale di una vera e propria emergenza culturale: perché essere travolti dalle tecnologie è quasi peggio che esserne esclusi.