Roma – È terminata con grandi squilli di tromba l’asta italiana per le frequenze WiMax. Alcuni dicono sia stata un grande successo (per lo meno in termini finanziari lo è stato, visto che lo Stato ha incassato cifre superiori a quelle raccolte in altri nazioni europee), altri sostengono si sia trattato di una competizione monca in relazione alle limitazioni tecniche native dell’asta stessa, pensata appositamente perché il WiMax in salsa italica non collidesse troppo con le prerogative degli operatori di telefonia mobile. Il Ministero delle Comunicazioni (o quello che ne resta dopo la caduta del Governo) ha rilasciato comunicati di grande soddisfazione e pubblicato complicate cartine e mappe delle varie regioni del paese interessate. Il messaggio che esce da tutta l’operazione è che il WiMax consentirà di portare la larga banda anche in zone del paese particolarmente disagiate che mai sarebbero state raggiunge dalla DSL e che questo determinerà una riduzione consistente del divario digitale fra cittadini raggiunti o non raggiunti dall’accesso veloce a Internet.
Sarà il tempo a dirci se i complicati incastri economico-normativi pensati per aumentare la copertura wireless del paese funzioneranno o meno, nel frattempo la situazione del broadband in Italia appare in tutta la sua gravità negli studi comparativi che escono in Europa e che il Ministero delle Comunicazioni tende ad ignorare con discreta regolarità.
Giusto in questi giorni sono stati pubblicati i più recenti dati di ECTA – European Competitive Telecommunications Association sulla penetrazione della larga banda nei 15 maggiori paesi della UE. L’Italia risulta tredicesima (solo il Portogallo e la Grecia fanno peggio di noi, ma il Portogallo ci ha ormai raggiunto mentre la Grecia che partiva in questi anni da una situazione disastrosa per quanto riguarda il broadband, è ancora ampiamente ultima ma viaggia con tassi di crescita che superano di 10 volte quello italiano.
Cosa significano questi numeri? Intanto che siamo non solo fra i paesi europei con la minor quantità di banda larga ma anche quello che in assoluto negli ultimi mesi è cresciuto meno. Non si tratta insomma del solito gap che con un poco di buona volontà potrà essere colmato, ma di un impasse ormai cronico che ogni anno aumenta il nostro divario dagli altri paesi europei. Abbiamo insomma ottime ragioni per essere preoccupati.
Scrive Innocenzo Genna, presidente di ECTA, citato sul blog di Stefano Quintarelli:
In Italia vi è stata una crescita inferiore a quella media europea, così accentuandosi il ritardo con i paesi comparabili, dove la crescita si attesta comunque tra il 5% ed il 10%. In altri paesi la crescita è esponenziale, cioè oltre il 20%, ma questo si spiega perché si partiva dal basso.
E più avanti:
La quota di mercato di Telecom Italia (64%) è in assoluto la più in alta in Europa, con la sole eccezioni di Cipro e Lussemburgo. Stiamo peggio della Grecia e di tutti i paesi dell’est.
Le ragioni del WiMax insomma non paiono da sole sufficienti a risolvere il problema dell’arretratezza del paese nello sviluppo delle connessioni veloci: altri ben più importanti passi attendono di essere compiuti. Il Ministero delle Comunicazioni conta da tempo di azzerare il digital divide nel giro di pochi anni tanto che nella euforica sezione stampa del sito web del Ministero sono disponibili le mappe delle zone attualmente non raggiunte dalla banda larga avvicinate alle mappe prospettiche di come questa copertura verrà via via estesa nei prossimi anni. Per crederci occorre armarsi di un po’ di sano ottimismo.
Del resto tutti i partiti politici, nell’avvicinarsi delle elezioni, stanno scrivendo nei propri programmi elettorali che la priorità tecnologica del paese è lo sviluppo del broadband. Veltroni stesso, che ha presentato un programma particolarmente avaro di accenni alla tecnologia, teorizza un prossimo “servizio universale” nel quale la banda larga sia finalmente compresa.
E tuttavia simili intenti rischiano, come è già avvenuto in passato, di rimanere semplici dichiarazioni di intenti se non si prenderanno provvedimenti urgenti per avvicinare il paese agli standard di controllo europei sul mercato delle TLC. Resta da vedere quale partito italiano sarà disposto a scrivere nel prossimo programma elettorale, accanto alle belle dichiarazioni di principio sulla “banda larga per tutti”, che abbiamo bisogno, per esempio, di una Autorità Comunicazioni con concreti poteri sanzionatori e di intervento (come scrive il Presidente di ECTA) e magari – aggiungo io – sottratta alla solita lottizzazione della politica.
Telecom Italia è stata condannata 12 volte dal 1995 ad oggi per violazione alle norme antitrust. ECTA sostiene che evidentemente le sanzioni e la durata dei procedimenti non sono un deterrente sufficiente perché l’ex monopolista decida di interrompere il proprio atteggiamento “aggressivo” nei confronti di un mercato che la vede con una quota di mercato superiore a quella dei propri concorrenti europei.
Sarebbe compito della politica comprendere la necessità di scelte decise (per esempio quella di separare la rete di trasmissione dati nell’interesse della comunità, senza aspettare che Telecom Italia decida da sola come meglio farlo nell’interesse di se stessa) per affrontare concretamente questioni centrali per il paese come quella dell’innovazione tecnologica, senza nascondersi come sempre dietro al dito delle dichiarazioni di principio. Che sono belle e buone per ogni stagione, ma che per qualche ragione, continuano a non portarci da nessuna parte.
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