Contrappunti/ Mediaset e le occasioni perdute

Contrappunti/ Mediaset e le occasioni perdute

di Massimo Mantellini - Di fronte all'abbagliante capacità di sintesi espressa dagli utenti Youtube nell'estrarre da migliaia di ore di programmazione TV le poche perle lì contenute, le aziende televisive reagiscono come giganti accecati
di Massimo Mantellini - Di fronte all'abbagliante capacità di sintesi espressa dagli utenti Youtube nell'estrarre da migliaia di ore di programmazione TV le poche perle lì contenute, le aziende televisive reagiscono come giganti accecati

Sapete qual è il punto? Il punto di tutta la questione della richiesta di risarcimento di Mediaset nei confronti di Youtube per le migliaia di ore di filmati disponibili sul sito di sharing video non riguarda le normative sul copyright, né la più generica tutela della proprietà intellettuale (sempre sia lodata) e nemmeno l’annosa questione del considerare i fornitori di servizi di rete come responsabili per i contenuti che gli utenti decidono di condividere. Niente di tutto questo, il punto prescinde dalla complessità di queste questioni a cavallo fra legge, business dei contenuti e comportamenti degli utenti, e riguarda invece una sola e semplice attitudine: partecipare o non partecipare al mondo che cambia.

Citare per “almeno” 500 milioni di euro Google, considerandola responsabile per i contenuti che i suoi utenti hanno riversato in rete, è un apprezzabile esercizio di miopia contemporanea. Sembra quella cosa antipatica secondo la quale, visto che non riusciamo a intravedere bene i contorni del mondo attorno a noi, finiamo per sbattere la testa contro il primo palo disponibile.

Oppure si tratta di teatrale simulazione. Nel caso specifico le ragioni potrebbero essere molteplici. Ragioni di business (soldi nelle casse della società), ragioni di marketing (all’annuncio del contenzioso i titoli Mediaset hanno guadagnato oltre il 4%) ragioni competitive (Google sta diventando un serio concorrente per qualsiasi attore del mercato pubblicitario). Ci si appoggia alle leggi (si tenta di farlo in effetti) non per riparare tanto un torto subito ma per fare la propria mossa sulla scacchiera complessa del mercato dei contenuti. In nessun caso si tratta di reale riparazione ad un torto subito e percepito come tale.

Mediaset non è in questo caso l’unico cavaliere all’assalto dei mulini a vento. Viacom negli Stati Uniti e Telecinco in Spagna hanno avviato procedimenti analoghi contro Youtube e sebbene il Financial Times di ieri consideri la richiesta di 500 milioni di euro come “assai ottimistica”, in molti hanno giustamente sottolineato l’inedita analisi presente nel comunicato stampa di Mediaset sulle “giornate di visione televisiva”, per la precisione 315.672, che Youtube avrebbe contribuito a far perdere al gigante televisivo di Silvio Berlusconi.

Anche qui nulla di nuovo e occorre forse chiarire una volta per tutte l’ambiguità dell’industria multimediale quando porta simili argomenti a difesa delle proprie tesi. Si tratta di posizioni già note: sono più di 10 anni che gli industriali del software calcolano il mancato guadagno derivante dalla distribuzione digitale illegale. Per gli azzeccagarbugli della industria multimediale la palese assurdità dell’equiparare una copia di software copiata e scaricata dal P2P ad una copia del medesimo programma che non è stata acquistata da quello stesso “pirata” informatico non crea alcun imbarazzo ed è da sempre una bugia utile alla causa: riempie i comunicati stampa e colpisce l’ampia massa di “incolti digitali” esattamente come la improbabile affermazione delle ore di visione televisive perse da Mediaset per colpa di Youtube.

Come se gli spezzoni televisivi presenti su Youtube potessero essere in qualche modo ricuciti assieme e ricondotti ad una sana e ordinaria sessione di riposante ascolto televisivo dal fondo di un divano.

Ora, astenendosi un momento dal contesto specifico della querelle Mediaset-Youtube, vale forse la pena di riaffermare un paio di questioni note e pacifiche.

Fino a quando Internet manterrà un briciolo di neutralità, non ci sarà modo di impedire ai suoi utenti di condividere contenuti digitali in rete. Si potrà avere l’illusione di vincere qualche battaglia, un Napster qualsiasi potrà essere forzato alla chiusura o ridotto a più miti consigli da leggi spesso fatte ad hoc, ma come sanno bene gli industriali della musica che hanno intrapreso il medesimo percorso con qualche anno di anticipo rispetto ai broadcaster televisivi, l’unica prospettiva di business concreta di respiro medio-lungo è quella di iniziare a “leggere” la rete, immaginando spazi nuovi di presentazione dei propri contenuti e nuove forme di remunerazione degli stessi.

Per esempio, iniziando a valorizzare il grande lavoro di riedizione e mashup che gli utenti di programmi televisivi fanno ogni giorno su Youtube, un ambito oggi senza pari come capacità di filtro contenutistico, dove la TV esce riproposta in una nuova versione inedita e affascinante, fatta di citazioni, copia-incolla, selezioni e rivisitazioni digitali. Dove i singoli contenuti escono filtrati e scelti dagli utenti che ne decidono la pertinenza e il valore, ne dichiarano l’interesse, applicandolo a nuovi formati temporali brevi e concisi.

Il taglia-incolla digitale scardina certamente una lunga serie di presupposti economici che oggi rendono potenti e ricche aziende come Mediaset (che a differenza delle major musicali non può nell’occasione nemmeno piangere la propria crisi aziendale causata dalla cattiva Internet dei pirati, visto che i suoi conti sono in ottima salute) e rende urgente non tanto una grande rivalutazione del modello televisivo che, per una serie di ragioni, a differenza di quello musicale, si mantiene vivo e vegeto nonostante la rete, quanto semmai la comprensione che la parte “migliore” (economicamente parlando) dei propri clienti, quella che interessa maggiormente gli inserzionisti anche della TV commerciale, sta rapidamente migrando in rete.

Di fronte ad una simile abbagliante capacità di sintesi espressa da Youtube e dagli utenti, abili ad estrarre dal cilindro indistinto di migliaia di ore di programmazione TV le poche perle lì contenute, salvandole dall’oblìo inevitabile e riconsegnandole alla fruizione di chiunque, le aziende televisive reagiscono come giganti accecati, stimolano il contenzioso e perdono di vista il valore, rendono ridicoli loro stessi e offrono contemporaneamente un utile servizio all’interesse generale. Quello di sottolineare, una volta di più, non solo la precarietà delle normative vigenti in termini di copyright, ma anche la modesta, modestissima attitudine dell’industria multimediale a far parte dello scenario dei nuovi contenuti digitali in rete.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
1 ago 2008
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