A poco meno di due anni dalla nascita del quarto governo Berlusconi, all’interno di un piccolo decreto che incentiva di tutto, dalle gru per l’edilizia ai fuoribordo, dalle case ecologiche alle cucine componibili, abbiamo potuto osservare il primo flebile vagito dell’esecutivo nei confronti di Internet. Nelle prossime settimane, a partire dal 6 aprile, data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto, circa 400mila contratti ADSL, destinati ai giovani dai 18 ai 30 anni potranno godere di un incentivo governativo pari a 50 Euro una tantum.
Al netto della solita propaganda cui siamo ormai abituati (ben tre ministri della Repubblica, Brunetta, Scajola e Meloni, si attribuiscono la progenitura di questo provvedimento per Internet, inserito in extremis nel pacchetto incentivi) c’è da chiedersi quali siano utilità e logica di una iniziativa del genere.
Intanto è importante il contesto politico in cui nasce un simile piccolo cerotto. Da oltre un anno il Governo promette e poi destina ad altro utilizzo i denari da tempo previsti per lo sviluppo della banda larga. Si tratta di una somma vicina agli 800 milioni, alla quale dovrebbero aggiungersi altri stanziamenti delle Regioni a completare un pacchetto di oltre un miliardo e quattrocento milioni destinato a portare i collegamenti a Internet veloce nelle ampie zone del paese ancora non raggiunte dal servizio. A fronte dei mille annunci al riguardo (il sottosegretario Romani ha ormai esaurito qualsiasi credibilità sul tema, visto che sono ormai innumerevoli i suoi annunci sull’imminente stanziamento: soldi che prima ci sono e poi scompaiono, poi ricompaiono e poi altrettanto misteriosamente svaniscono, poi ritornano dimezzati e poi riscompaiono del tutto) l’unico passo concreto del Governo per lo sviluppo della Rete è questo dei 20 milioni destinati ai contratti ADSL per i giovani.
Le ragioni per cui una simile iniziativa è velleitaria e sostanzialmente inutile sono evidenti. La prima è che con questo provvedimento lo Stato versa nelle casse degli operatori delle telecomunicazione una cifra di denaro, pur se modesta, a titolo di semplice regalia: quasi un piccolo gesto di scuse per i ritardi dei sostanziosi denari promessi e mai versati. Soldi in cambio di nulla insomma. Gli operatori dal canto loro ricevono un obolo che non li vincola in alcuna maniera. Una cifra che non subordina comportamenti virtuosi per esempio sulla copertura geografica in banda larga e che ha come unica modesta leva quella di invogliare i giovani a stipulare un contratto ADSL (là dove questo è già possibile) in cambio di un minimo sconto iniziale pari a circa due mesi e mezzo di canone. Si tratta di uno sconto di entità simile a quello che molti operatori di tanto in tanto già autonomamente propongono nelle offerte alla loro clientela.
Esiste poi – lo si capisce bene dall’affollamento dei padri putativi del provvedimento – una motivazione estetica e propagandistica all’iniziativa, ed è la solita aleatoria dichiarazione di intenti sulla necessità di essere moderni e ragionevolmente propositivi sull’impatto che lo sviluppo della Rete avrà sull’economia e sullo sviluppo del Paese. Le solite chiacchiere che la politica ci propone da anni, destinate, nella grande maggioranza dei casi, a rimanere tali.
Eppure, fuori da ogni demagogia, non sarebbe difficile disegnare a grandi linee lo scenario dell’accesso alla Rete in Italia.
Dobbiamo affrontare un “divide geografico” significativo, anche se numericamente non amplissimo. È anch’esso il retaggio di una sottovalutazione, la conseguenza delle politiche commerciali delle telco associate allo scarso controllo sociale sui numeri raccontati. Ci sono voluti anni per sapere ad esempio che le stime offerte dai vari osservatori sulla copertura della banda larga in Italia erano nella migliore delle ipotesi ottimistiche e nella peggiore truffaldine; c’è voluto del tempo per comprendere come le dichiarazioni dei politici su come l’Italia fosse un paese tecnologicamente all’avanguardia si scontrassero ogni volta più duramente con i numeri di un paese arretrato fra gli ultimi in Europa.
Per il cosiddetto ritardo geografico ci sono comunque denari già stanziati ma mai erogati (gli 800 milioni di cui si diceva prima) accanto a ipotesi tecnologiche che si sono dimostrate fallimentari (una per tutte le licenze per il WiMAX) e scenari futuri fin da ora foschi, come la assoluta mancanza di investitori per la rete di nuova generazione di cui tutti gli altri paesi europei si stanno dotando.
Ma esiste, come abbiamo tante volte sottolineato, un problema perfino più grave da affrontare ed è quello noto del “divide culturale”. Quella predisposizione nazionale che fa in modo che un cittadino su due della Penisola sia sostanzialmente disinteressato allo sviluppo delle reti, le percepisca come un inutile teatrino di complicazioni e inutilità al quale non ha intenzione di partecipare in alcuna maniera. Si tratta di una sorta di arretratezza sociale nei confronti della quale sarebbe necessario investire soldi ed attenzioni.
Denari da destinare prima di tutto alle scuole, ma anche alle amministrazioni, alle biblioteche, ai progetti di comunicazione sui media, alla alfabetizzazione delle categorie sociali meno protette e alle tante piccole e medie imprese del paese che a stento utilizzano la posta elettronica. Progetti insomma capaci di raccontare una Internet differente da quella percepita da una platea disincantate e diffidente di mancati utilizzatori.
Purtroppo si tratta di iniziative inadatte all’annuncio trionfale di questo o quel ministro, che richiedono investimenti generosi e che non consegnano il risultato spicciolo di uno sconticino di quelli che fanno sempre piacere. Scelte politiche insomma che richiedono visione e tempi lunghi. Visione e tempi lunghi per schiodare questo Paese da un declino che la tecnologia ha, se possibile, ulteriormente acuito. Scenari di sviluppo che, per dirla francamente, oggi paiono fuori non solo dalle priorità ma anche dalle capacità progettuali dei nostri attuali amministratori.
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