Roma – Si discute molto in questi giorni di un brevetto ottenuto da Philips negli Stati Uniti che tutela una nuova tecnologia secondo la quale i prossimi sistemi televisivi in commercio potranno contenere istruzioni che impediranno di saltare la pubblicità durante le trasmissioni televisive e perfino dopo le registrazioni delle stesse. Come è noto, al di là dell’oceano (a differenza di quanto accade in Europa dove tale tecnologia – chissà perché – è ancora pochissimo diffusa) esistono e vengono venduti in grande quantità registratori digitali come il TiVo , con funzioni di fast-forwarding che consentono di evitare la visione degli inserti pubblicitari della TV commerciale.
Che si sia negli USA, felici utilizzatori del testo “skip30sec” o in Europa a smanettare sul telecomando per cambiare canale durante l’interruzione pubblicitaria, Philips prevede televisori prossimi venturi capaci di arginare l’insana abitudine dei telespettatori di non guardare gli spot pubblicitari. Con qualche ironia la multinazionale olandese ci comunica poi che tale tecnologia darà al consumatore il “diritto di scelta”, che nel caso specifico significa scegliere di pagare una certa cifra per disattivare l’imposizione pubblicitaria.
Tutto molto bello. Philips contattata dal New York Times al riguardo ha escluso che un simile sistema tecnologico sia previsto per i prodotti attualmente in commercio o per quelli di prossima produzione ma ha spiegato che ci sono buone possibilità che simili meccanismi di protezione del valore dell’inserzione pubblicitaria siano implementati nei prossimi anni.
La questione del bilanciamento fra le esigenze del mercato pubblicitario ed il diritto elementare degli utenti dei servizi commerciali a non essere travolti dalla ubiquità degli spot è oggi uno dei temi centrali dello sviluppo economico non solo del sistema radio-televisivo ma anche della rete Internet. E in Italia, paese nel quale le norme di protezione dei contenuti televisivi sono da sempre costantemente disattese, fra affollamenti orari fuori scala, televendite più o meno illegali e capacità di controllo da parte degli organi preposti ai minimi europei, il consumatore sembra di fatto meno protetto che altrove. Nemmeno il volume audio degli spot televisivi sembra possibile calmierare tanto che la TV urlata dei messaggi pubblicitari è forse una delle caratteristiche più fastidiose della TV italiana.
Non sembra del resto possibile affidarsi nemmeno al buonsenso dei pubblicitari: se così fosse nessuno avrebbe potuto ideare contenuti pubblicitari per Internet come quello che mi è capitato di vedere qualche giorno fa sul sito di Corriere.it. Un filmato dell’Enel attivato e posto al centro dello schermo ad ogni passaggio del mouse al di sopra del banner pubblicitario. Dovremo domani considerare tecniche di gimkana sulle pagine web per non essere travolti da filmati in flash a tutto schermo in barba ad ogni minima idea di usabilità?
Per anni si è discusso, nel mondo del marketing, della necessità di adeguare le strategie pubblicitarie ad un medium completamente nuovo come la rete Internet: a parte alcune minime eccezioni, la comunicazione pubblicitaria in rete sembra continuare ad avere grandi analogie con quella pensata per il mercato televisivo, nel quale da dopodomani forse i pubblicitari potranno sequestrarci il telecomando per impedire lo zapping selvaggio.
Il punto non è solo quello della sostenibilità dei contenuti commerciali offerti: discorso del resto parzialmente assolutorio che abbiamo ascoltato mille volte. Nei modelli di business della TV commerciale (ma anche dell’editoria e di molti altri ambiti come per esempio il web) la centralità dell’inserzionista è la ragione stessa della disponibilità dei contenuti per il telespettatore. Niente pubblicità, niente film. Oppure: poca pubblicità, film di seconda scelta. Non ci sarebbe molto da obiettare ad un sistema simile se non fosse dato osservare che spesso la tendenza pubblicitaria travalica in maniera netta simili esigenze.
La pubblicità tende ad occupare qualsiasi spazio, anche quelli non necessari al sostentamento dell’offerta contenutistica, condiziona la qualità dei contenuti stessi in maniera sostanziale ed invade gradualmente anche sistemi di business differenti: così al cinema (dove lo spettatore paga salati biglietti di ingresso) abbiamo gli spot nell’attesa della pellicola di prima visione, nella TV a pagamento l’affollamento pubblicitario cresce fino quasi a renderla simile ad una normale TV commerciale, sul web i cosiddetti rich media prendono possesso del nostro schermo in video e in audio, spesso senza la possibilità di essere ridotti a più miti consigli.
La pubblicità si diffonde ovunque: colonizza i bagni delle università americane così come le sceneggiature cinematografiche (l’ultimo film di Carlo Verdone è stato scritto inserendo nel plot un discreto numero di scene supplementari con piccoli messaggi più o meno occulti dei vari sponsor della pellicola) e perfino gli stadi di calcio. Ai bordi del campo di gioco nei grandi stadi di tutta Europa scintillanti pannelli elettronici distraggono oggi l’attenzione del tifoso dalla scena di gioco, con gli effetti luminosi degli sponsor. C’è da chiedersi quanto tempo dovrà passare prima che qualche sensuale modella seminuda non attiri la nostra attenzione da simili schermi provando a distoglierla dal dribbling di Ronaldinho. Del resto la geniale intuizione di Assvertise – una agenzia che applica al fondoschiena di affascinanti modelle i messaggi pubblicitari, partendo dalla constatazione che l’inserzionista vuole essere “là dove la gente sta già guardando” – non è che la rappresentazione, magari ironica, di una invasività che non sembra conoscere confini.
Di fronte ad un simile arrembaggio, la strada, su Internet e sugli altri media, è, da un lato quella del rispetto rigoroso di un pacchetto di regole condivise, dall’altro quella della sensibilità del consumatore e della sua capacità di opposizione. Quando Philips domani ci proporrà il telecomando che non cambia canale, sarà sufficiente non comprarlo per aggiungere un milligrammo di peso specifico alla intelligenza collettiva dell’universo. La speranza è che, per ragioni in parte tecnologiche e in parte aggregative, su Internet simili meccanismi di opposizione del consumatore all’assalto degli spot siano più efficaci che altrove. E che Internet stessa possa, per questa ragione, essere il motore occulto di questo sperato incremento della nostra intelligenza.
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