Roma – Il mercato della distribuzione musicale legale online è un mercato molto giovane ed ancora molto piccolo. Per intenderci, gli introiti annui che genera sono circa 1/100 di quanto le grandi major del disco incassano complessivamente nel medesimo periodo. Però oggi accade che, pur trattandosi di un frammento piccolo all’interno di un meccanismo di distribuzione grande e molto ben rodato , ne sia divenuto, almeno in prospettiva, la parte più importante. Anche i più stolidi fra i discografici, sostenitori del detto “squadra che vince non si cambia”, sembrano ormai convinti del fatto che la distribuzione musicale abbandonerà in futuro CD, DVD ed altri supporti per viaggiare solo dentro le reti di computer. Squadra che vince – verrebbe da dire – qualche volta si cambia.
Tutti noi sappiamo, perchè lo abbiamo letto ovunque un milione di volte, che gran parte del merito del pur tardivo esordio della distribuzione legale di musica in rete, deve essere ascritto alla capacità visionaria di Steve Jobs e del suo iTunes Music Store. Fino ad un paio di anni fa, le major discografiche osservavano con orrore ed impotenza le loro canzoni trasformarsi in file mp3 e circolare indisturbate dentro i network di sharing P2P, senza che queste generassero un centesimo di introiti per loro e per i loro artisti. In una sorta di paralisi di intenti dovuta al timore di affrontare un terreno, quello della distribuzione in rete, visto più come un rischio che come un valore, i discografici se ne stavano alla finestra ad aspettare chissacchè. A parole lodavano un giorno sì e l’altro pure le nuove tecnologie, nel chiuso dei loro uffici odiavano Internet senza ritegno, ritenendo la rete responsabile di tutte le loro disgrazie. Dalla discesa in campo di ITMS e dei sistemi di download musicali che lo hanno seguito, oggi una frazione sempre più significativa dei file musicali che attraversa Internet genera un guadagno per i suoi produttori e l’accettazione dell’idea di un mercato legale del download sembra aver fatto breccia un po’ ovunque, in una misura molto superiore al previsto.
Così accade che, fiutato l’osso, le grandi major del disco abbiano deciso di non lasciare nelle mani di Steve Jobs e di Apple il controllo di questo nuovo business. E’ notizia di questi giorni dei dissidi profondi fra Sony-BMG e Warner Music da una parte ed Apple dall’altra. Il primo effetto tangibile di questa contrapposizione è ben visibile osservando il neonato store elettronico di iTunes da poco aperto in Giappone: i cataloghi delle due major non sono presenti nel negozio virtuale poiché Sony e Warner si sono rifiutate di concedere ad Apple i diritti sui loro brani.
La diatriba riguarda, fra le altre cose, il costo dei singoli brani: alcune major del disco vorrebbero differenziare i prezzi dei singoli download, aumentando di molto quelli dei nuovi brani in uscita (portandolo a 1,49 dollari) in cambio di una modesta riduzione sul catalogo del costo dei pezzi più datati. Apple è (giustamente) contraria, pensando sia necessario mantenere un unico prezzo per tutti i brani, senza superare la soglia psicologica dei 99 centesimi di dollaro.
E’ come se le grandi compagnie discografiche, passata la diffidenza iniziale per uno strumento di distribuzione che faticavano ad accettare, abbiano deciso di applicare i propri criteri commerciali noti (e per la verità assai vecchiotti) anche alla distribuzione online. Come a dire: i contenuti sono nostri, noi decidiamo i prezzi e tutto il resto. Nello stesso tempo Steve Jobs ha fatto fino ad oggi la parte del leone in questo nuovo business ed ai discografici non piace per nulla l’idea che Apple guadagni sia dalla distribuzione musicale che, parallelamente (ed in misura assai superiore), dalla vendita degli iPod. Come a dire: tu vendi i tuoi lettori e lascia mano libera a noi sui contenuti.
Restano poi aperte almeno altre due faccende importanti: la mancata compatibilità imposta da Apple fra i suoi lettori e i brani acquistati su altri circuiti (un errore di prospettiva – affermano in molti – simile a quello compiuto molti anni fa quando Apple decise di non rendere disponibile a terzi il sistema operativo dei propri computer) e l’ombra, per nulla svanita, della distribuzione di file mp3 sui sistemi di condivisione, al di fuori dei meccanismi del copyright.
Deciderà il tempo se le scelte protezionistiche di Steve Jobs saranno paganti o meno (per lui e la sua azienda ovviamente, poiché per gli utenti dei sistemi di download certamente non lo sono) ma per ciò che attiene alla ben nota ingordigia degli industriali del disco, la scelta di far lievitare i prezzi dei brani scaricati in rete, in un mercato che solo ora compie i primi passi, rischia di essere una scelta assai pericolosa, caricata del concreto rischio di rispedire a gran velocità verso i software peer to peer molti di quanti, in questi mesi, hanno iniziato ad acquistare musica legalmente sui vari store visitabili sul web. Chi è causa del suo mal……
I precedenti editoriali di M.M. sono disponibili qui