Non siamo al “Guinness dei Primati” qui: quindi ci interessa poco che l’offerta di acquisto che venerdì scorso Microsoft ha rivolto a Yahoo (una offerta “ostile” come l’ha definita correttamente qualcuno, che salta a piè pari il management di Yahoo) sia il più grande affare mai tentato nella storia della rete Internet. Decine di miliardi di dollari su un piatto d’argento.
Nemmeno ci preoccupano troppo faccende come le recenti crisi delle quotazioni azionarie o l’ondivaga congiuntura dei mercati o i minacciati licenziamenti di Yahoo, il pensionamento di Bill Gates e tutte le altre variabili che hanno oggi reso possibile questa offerta, dopo che negli ultimi 18 mesi le due grandi società si erano più volte incontrate senza raggiungere una ipotesi di accordo.
La ragione valida per parlarne è invece un’altra: questa vicenda, che ha per protagoniste due aziende tanto grandi e famose da far tremare i polsi, può essere oggi letta come la cronistoria di due grandi differenti incertezze.
L’incertezza di Yahoo è stata in questi ultimi anni in buona parte un’incertezza strategica, basata su un antico equivoco trasformato in modello di business. Quello secondo il quale la piattaforma potesse sposare in prime nozze i contenuti invece che farle, come si converrebbe fra persone che non si conoscono troppo bene, da paziente e semplice autista. Yahoo ha oggi una audience immensa, qualcosa tipo 500 milioni di utenti, i quali non sanno bene cosa farsene delle aspirazioni contenutistiche di un ex gigantesco portale che in questi anni ha continuato a comportarsi da portale come se nulla stesse accadendo, accarezzando prima di tutto il sogno di trasformarsi in una grande piattaforma di contenuti sul web.
Il “software as a service” di Yahoo è capitolato in questi anni di pari passo con il proprio motore di ricerca, incapace di tenere il passo con il search di Google e corroborato da un certo caos strategico dentro al quale forse la scelta di maggior genio è stata quella di acquistare Flickr (e non è un caso che gli utenti di Flickr, come scrive il New York Times, siano stati i primi a mostrarsi “social e perplessi” verso l’offerta di Microsoft) una delle poche scelte davvero di valore fra quelle portate a termine da Yang e soci negli ultimi anni.
Microsoft sconta invece una sorta di problematico dualismo fatto di casse piene di denaro contante contrapposto ad una ormai cronica marginalità dentro lo sviluppo della rete Internet. Un “essere laterale” che mal si accorda con la grandezza dell’azienda e che sembrerebbe mantenersi costante negli anni. Se si eccettua la grande popolarità del suo software di messaging, lo zoccolo duro degli utenti di hotmail e poco d’altro, Microsoft non ha mutato di molto la propria posizione nei confronti della rete Internet rispetto ai famosi tempi dell’inseguimento di Netscape affidato a Internet Explorer, quando qualcuno a Redmond, con enorme ritardo rispetto agli altri abitanti del mondo emerso, si accorse che i tempi stavano rapidamente mutando, che era stato inventato un aggeggio chiamato Internet e che quella declinazione tecnologica era in grado di sconvolgere tutto, compresi i piani di società solidissime come Microsoft stessa.
La rete è piena di una citazione di Bill Gates del 1993 che suona più o meno così: “The Internet?We are not interested in it” . Il ritardo di Microsoft nei confronti delle avanguardie tecnologiche della rete di allora si è mantenuto negli anni nonostante gli sforzi ed assomiglia a certi inseguimenti in gare ciclistiche di montagna dove è proprio la percezione dei tre tornanti che ti separano dai concorrenti che ti precedono a congelare ogni residua capacità di rimonta. Un gap primariamente psicologico quindi, nei confronti del quale non sembra esserci troppo da fare.
Del resto quello immaginato da Steve Ballmer con l’offerta pubblica di acquisto di azioni Yahoo, è un accordo geniale ma meramente finanziario, per nulla differente da quello che potrebbe unire due case automobilistiche, due compagnie aeree o due macellerie del centro storico e come tale in linea con una idea mercantile della rete che Microsoft mostra di voler continuare ad adottare. È faccenda per ragionieri e trafficatori di borsa, molto più che per visionari della nuova società dell’informazione o semplici utenti della rete. Gravata oltretutto da un vizio di sostanza non indifferente: Internet, in genere, non funziona così.
È una proposta che non riguarda il talento ma il denaro, che non è pensata nell’ottica del prodotto tecnologico ma piuttosto del parco buoi degli utenti e delle aspirazioni per nulla segrete di rintronarli in un prossimo futuro di utili messaggi pubblicitari, nella maniera più elegante fra quelle possibili. E questo è certamente un altro grosso limite.
Tutti continuano a ripetere (credeteci se vi va, credeteci, credeteci) che il futuro del business in rete sarà quello legato alla penetrazione delle nuove piattaforme di advertising e questo rende un accordo fra Yahoo e Microsoft inevitabile, pur nella sola ottica di contrapporre una forza (quasi) uguale a quella di Google nel campo delle inserzioni su Internet. Questo mantra finanziario-rassicuratorio sembra oggi prescindere da qualsiasi valutazione di valore delle aziende che si affrontano. Numeri dentro un bussolotto fra soggetti che credono di “possedere” una audience che invece non è loro, e tutti ad osservare cosa accadrà, indipendentemente dalla inefficacia dei motori di ricerca, delle centinaia di migliaia di indirizzi di posta elettronica abbandonati e della inevitabile diffidenza degli utenti verso una pletora di servizi improbabili.
In realtà cosa accadrà è completamente oscuro e al contempo abbastanza prevedibile, per la semplice ragione che è già accaduto più volte in passato. I tempi sembrano ormai maturi per un nuovo Mario Rossi che dal garage di casa propria trovi la maniera per stupirci con qualcosa di completamente nuovo. Succederà ancora e non ci sarà molto da fare per nessuno dei giganti odierni se non rumorosamente adeguarsi. Almeno fino a quando la rete Internet continuerà ad essere libera le cose continueranno ad andare così. Con buona pace delle innovative e già vecchissime piattaforme di advertising.
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