Roma – Sempre più spesso la grande comunicazione passa su internet. Alla faccia dei teorici dell’information overload che da anni ci raccontano come la grande debolezza della rete sia l’eccesso informativo e la nostra supposta incapacità di scremare le informazioni utili da quelle che invece non lo sono, non passa giorno che non ci vengano fornite prove dell’efficienza e della velocità di Internet nell’essere filo di trasmissione delle notizie. Specie quando il loro numero tende ad essere improvviso ed enorme. La recente tragedia del sud-est asiatico ne è stata una prova lampante.
Non si tratta di sancire una qualche forma di superiorità di un media rispetto agli altri: non è interessante e non ha forse nemmeno troppo senso farlo. Cio’ che invece è utile sottolineare è che spesso, se ben utilizzata, la “grande conversazione”, vale a dire la trasmissione di quel grande gomitolo di sensazioni che non separano la notizia dal commento, il sentimento dalla asettica informazione, è diventata la forma di comunicazione per noi più interessante.
Un solo esempio che è stato sotto i nostri occhi nelle prime caotiche giornate dopo lo sconvolgente terremoto a Sumatra. A migliaia di chilometri di distanza, in un paese -l’Italia – tutto sommato poco coinvolto dalla immane tragedia, i siti web di alcuni giornali, primariamente quello di Repubblica.it (che forse ha interpretato , anche tecnicamente, l’idea nella maniera migliore), hanno aperto una bacheca elettronica nella quale cittadini coinvolti dal cataclisma hanno potuto postare direttamente o chiedere informazioni sui propri cari dispersi. Abbiamo così potuto osservare l’accesso diretto ai media, seppur filtrato da una qualche moderazione giornalistica, della gente comune che a qualche titolo ha iniziato a partecipare al processo informativo professionale non più nella forma solita di testimone intervistato ma in quella più utile di fonte informativa diretta.
Mentre sulla Internet dei weblog, delle liste di discussione e dei siti web personali, sulle pagine di servizi di sharing fotografico come flickr , si ribaltava la solita grande massa di informazioni immagini e testimonianze, la cui portata e velocità ben conosciamo fin dai tempi dell’11 settembre 2001, l’episodio appena descritto sancisce invece la presa di coscienza da parte dell’informazione professionale di una capacità delle singole persone di essere loro stesse creatrici di notizie.
Si tratta in fondo di una maniera per ridurre le distanze fra giornalismo e lettori. Benché sia abbastanza ovvio che in situazioni del genere i grandi media hanno un interesse individuale a sfruttare canali informativi a loro preclusi dalle oggettive difficoltà di comunicazione, è anche vero che fino a poco tempo fa l’utilizzo di simili fonti veniva costantemente rifiutato dai grandi media come un elemento in grado di ledere la identità ed il ruolo centrale del giornalista. Simili steccati sembrano oggi un po’ meno saldi di un tempo. E’ ormai esperienza quotidiana, ai tempi di Internet, il fatto che molta informazione, nel momento stesso nel quale viene impacchettata ed organizzata dai quotidiani o dalle televisioni per il proprio immenso pubblico, risieda già da ore in rete a disposizione di tutti. I filmati amatoriali dello tsunami mille volte trasmessi dalle TV, le sconvolgenti immagini satellitari delle coste indonesiane prima e dopo la grande onda, perfino i dati tecnici del sisma (di qualsiasi sisma del pianeta) affluiscono su Internet molto prima che nelle redazioni del giornali.
Da quando esiste la rete è la notizia stessa che piano piano è diventata il centro del processo informativo, il giornalista lo è invece diventato forzatamente ogni giorno un poco meno. Comprenderlo ed accettarlo, come hanno fatto a Repubblica (e un po’ in tutto il mondo) in questi giorni, anche se per ora solo in situazioni estreme e drammatiche, è tutto sommato una bella notizia.