Contrappunti/ Premi shift e poi muori

Contrappunti/ Premi shift e poi muori

di Massimo Mantellini - Capita che uno studente spinga a caso un tasto del PC e al di la' del filo, le azioni di SunnComm, una societa' quotata in borsa, precipitino. O che una pensionata con il Mac sia un pirata armato di Kazaa da 9mm
di Massimo Mantellini - Capita che uno studente spinga a caso un tasto del PC e al di la' del filo, le azioni di SunnComm, una societa' quotata in borsa, precipitino. O che una pensionata con il Mac sia un pirata armato di Kazaa da 9mm


Roma – Ci sono storielle che non si sa se facciano ridere o piangere. SunnComm (1) una delle tante aziende impegnate nel mercato delle protezioni per prodotti editoriali digitali, dispone di un nuovo software formidabile che impedisce la duplicazione dei cd audio via PC. Lo vende a BMG che lo inizia ad utilizzare per proteggere i propri dischi. Tale software ha un nome: MediaMax CD3 e una caratteristica, non funziona. O meglio funziona a dovere a patto che sul computer nel quale il cd audio viene inserito per essere duplicato qualcuno non tenga premuto per errore o diabolico ingegno il tasto shift. Sì perchè spingendo shift, la protezione software di SunnComm per qualche ragione non si attiva e il cd puo’ essere tranquillamente doppiato. Con buona pace di tutti, pirati ed aventi diritto.

Di questo microscopico buco si è accorto qualche giorno fa uno studente di informatica dell’Università di Princeton. Come ogni studente che si rispetti, John A. Halderman, questo il nome del ragazzo, dalla sua scoperta ha prodotto un lavoro scientifico (2) che ha reso pubblico sul sito web dell’Università. Apriti cielo.

Viviamo in un mondo “collegato”, ce ne accorgiamo ogni giorno di più. Capita che uno studente tenga spinto un tasto a caso del PC e “al di là del filo”, le azioni di SunnComm, una società quotata in borsa, precipitino. Uno spinge il tasto shift, lo racconta al mondo e si ritrova con una denuncia per violazione delle norme sul copyright che lo porterà, prima ancora che abbia terminato l’università, diritto in tribunale quasi fosse il peggiore dei delinquenti.

Le notizie che giungono dal fronte della guerra, ormai senza quartiere, fra grandi major dell’intrattenimento e pirati (milioni di persone che in tutto il mondo continuano imperterrite a navigare a vista infischiandosene delle sempre più stringenti e improbabili normative nazionali sul controllo della proprietà intellettuale) sembrano tutte di questo segno. I casi con una percentuale di ridicolo al di sopra della media sono ormai all’ordine del giorno. Fra i bersagli dell’azione legale della RIAA contro i pirati del peer to peer capita di includere bambine dodicenni che abitano in case popolari dell’upper east side a New York o eleganti insegnanti in pensione, come la signora Sarah Ward di Boston accusate di scaricare in rete mp3 di Shaggy. La pensionata è così costretta a spiegare al New York Times (3) non tanto e non solo le sue preferenze musicali, quanto il fatto che lei utilizza Internet solo per la posta elettronica e che se anche fosse, se anche avesse voluto ascoltare un po’ di musica rap sul suo computer, non avrebbe potuto certo utilizzare Kazaa per scaricarla illegalmente in rete, visto che il suo PC casalingo è un Mac.

Coprirsi di ridicolo sembra la parola d’ordine oggi in certi ambienti. Coprirsi di ridicolo, se necessario, a patto di difendere in ogni maniera la propria posizione di controllo e i diritti di una industria della distribuzione multimediale che gioca ormai le sue ultime carte. Tranne poi tentare qualche tardivo ravvedimento. Come nel caso della signora Ward, con gli avvocati della Riaa che ammettono con comprensibile imbarazzo che forse si è trattato di un errore. Come nel caso del giovane studente di Princeton per il quale le minacce di azione legale, intentata per aver tenuto spinto il tasto shift violando il DMCA, sono frettolosamente rientrate quando qualcuno a SunnComm si è forse reso conto che rendersi ridicoli puo’ essere il prezzo da pagare ma che a tutto c’è un limite, anche alla girandola di cause intentate contro chiunque capiti a tiro ad ostacolare i propri affari.

Il DMCA è oggi in USA il grande ombrello sotto al quale si tenta di proteggere i propri commerci non solo dai ladri e dai malfattori ma anche e soprattutto dalla innovazione stessa e da tutti i milioni di persone che la seguono a ruota. Una normativa sotto la quale, negli intenti di chi l’ha pensata e proposta, tutto doveva poter essere compreso e tutelato. Perfino due righe di codice scritte su una maglietta. Perfino una frase detta a mezza voce. Quanti provano a metterci i bastoni fra le ruote – sembrano dirci questi potenti signori – sono avvertiti. Al DMCA – ed alle sue varianti che stanno nascendo anche al di qua dell’oceano – ogni giorno si appellano in tanti, siano essi discografici, produttori di software, fabbricanti di stampanti per PC. Lo fanno talvolta a ragione, talvolta no. Fuori, del resto, grandina e sotto l’ombrello aperto delle normative compiacenti lo spazio non è poi infinito. La scena di questo assembramento, vista dall’esterno è anch’essa – come le tante offerte ogni giorno dalle cronache – discretamente ridicola.

Massimo Mantellini
Manteblog

(1) http://www.sunncomm.com/index_flash.html
(2) http://www.cs.princeton.edu/~jhalderm/cd3/
(3) dal NYTimes

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Pubblicato il
13 ott 2003
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