Roma – Legge talebana. Così assai frequentemente sento definire la normativa sulla privacy da parte dei tanti che vorrebbero maggiori libertà di utilizzo dei nostri dati personali. Nella schiera di questi sostenitori di una maggiore elasticità di utilizzo delle nostre caselle di posta elettronica, dei nostri dati sanitari e dei nostri numeri di telefono, deve esserci anche il Presidente del Consiglio Berlusconi, che nell’imminenza del voto europeo dello scorso weekend ha inviato su tutti i nostri telefonini un SMS per rammentarci quando andare a votare. Legge talebana e per tale ragione in qualche maniera da disattendere, visto che la legge Rodotà a tal riguardo parla chiaro e prevede un così massiccio invio di informative tramite sms soltanto in casi eccezionali, quali ad esempio le calamità naturali.
Al di là della discussione in corso sul caso specifico, vale la pena di immaginare cosa potrebbe accadere alle nostre vite, se perfino gli strumenti personali e privati di comunicazione dovessero essere – come è avvenuto in questo caso – resi disponibili d’autorità per comunicazioni “superiori” che saltano ogni nostra possibilità di controllo. Occorre ricordare che le forze politiche dispongono già da tempo di ampi spazi informativi fra quelli definiti “da uno a molti”, colonizzano da anni – anche al di fuori delle comprensibili esigenze elettorali – radio e televisioni, giornali e pareti della metropolitana. Nella imminenza delle elezioni le nostre città vengono riempite delle facce sorridenti dei candidati, dai loro slogan più o meno efficaci, da poster di dimensioni in costante aumento dai colori sgargianti. Siamo precipitati nell’era di Photoshop e non ci possiamo fare molto. Ma certo questa accelerazione del marketing politico non sembra intenzionata a ridursi quando – come accade da qualche anno a questa parte – si moltiplicano le opportunità tecnologiche di collegamento fra le persone.
Al grido di “il fine giustifica i mezzi” milioni di telefoni cellulari vengono improvvisamente informati delle modalità del voto elettorale: domani seguendo la stessa logica di incremento informativo chissà quali e quante altre comunicazioni potranno raggiungerci direttamente nel chiuso delle nostre case. Sempre, è ovvio, per ragioni di forza maggiore e nel nostro supremo interesse.
Di una etica del flusso informativo si discute soltanto in dotti salotti e devo ammettere che nel corso della recente campagna elettorale ho registrato con stupore la moderazione con la quale i candidati hanno utilizzato Internet e i media elettronici per i loro messaggi. Paura (o semplice ossequio) della legge talebana? Perfino Emma Bonino e la sua lista, segnalatisi in passato per una certa antipatica leggerezza nel riempire le nostre mailbox di messaggi non richiesti, sembrano avere imparato un po’ di netiquette. Così oggi l’unica forma di marketing virale che tale lista ha intrapreso in rete è stato quello di legare la propria campagna elettorale ad una sorta di gemellaggio con alcuni weblog. In accordo con la legge sulla privacy voluta da Rodotà (e da noi mai abbastanza lodata) solo sporadici messaggi di richiesta di autorizzazione all’invio di materiale elettorale hanno raggiunto le nostre caselle elettroniche. Lo spam per evitare lo spam, ha detto qualcuno. Comunque un passo in avanti, ad indicare una efficacia dei limiti imposti per legge alla pubblicità elettorale e non.
Se c’è una istanza che Internet ha travasato dentro le ragioni sui cui si fonda la legge sulla privacy (ed in definitiva il senso della sua modernità) è stata quella di osservare il mondo privilegiando l’interesse generale. Si tratta di un punto di partenza inconsueto. Il legislatore sembra essersi seduto ad un tavolo chiedendosi se fosse più importante la mia privacy o la fame di informazioni della mia banca, ben sapendo che andavano sommate milioni di singole privacy rispetto alle esigenze di un numero assai minore di grandi soggetti economici. Internet naviga sulla medesima lunghezza d’onda: consente l’espressione di mille differenti punti di vista, dà loro una dignità che mai in passato alcuno strumento mediatico aveva potuto offrire. In un universo così responsabilizzato al valore del singolo contributo ed alla sua possibilità di esistere è ovvio che qualsiasi intervento dall’alto verrà percepito come intrusivo. Poichè intrusivo in effetti è. La differenza, il punto di rottura è che fino a ieri tali ispirazioni, l’etica stessa della informazione e la sua voglia di educare il lettore/ascoltatore erano considerate normali, anche in assenza di una qualsiasi migliore alternativa. Oggi nell’epoca del “we media” non è più così.
E’ come se Internet avesse contribuito al risveglio della nostra identità di poveri polli di allevamento. Che improvvisamente dichiarano la propria indisponibilità ad essere usati dai media e la loro voglia di invertire il flusso informativo quando non di crearlo loro stessi. Quando questo processo sarà concluso, se mai lo sarà, gli ambigui sms firmati Predelcons saranno semplicemente percepiti da tutti esattamente per quel che sono: più che una grande idea, una scelta elettorale autolesionista.