Il giornalista e storico siciliano Carlo Ruta è stato infine assolto in Cassazione. Il suo blog, chiuso nel 2006 da un discusso intervento della magistratura, ha dovuto passare tutti i gradi di giudizio prima di essere considerato per quello che è: una normale pagina web nella quale il signor Ruta esercitava il proprio diritto alla libera espressione del pensiero e non, come sostenevano prima il giudice di Modica e poi la Corte di Appello di Catania, un prodotto editoriale equiparabile ad un giornale di carta.
La condanna di Ruta, lo abbiamo scritto molto volte, è figlia di molti padri ma di una sola madre. Una cattiva legge scritta nel 2001 durante un governo di centrosinistra, pervicacemente sostenuta dai suoi relatori, l’ on. Giuseppe Giulietti e l’ on. Vannino Chiti a quei tempi parlamentari del PDS ed “esperti” di comunicazione di quello schieramento. Di fronte alla opposizione ferma di decine di migliaia di utenti della rete Internet italiana che, con una petizione indetta da questo giornale, tentarono di convincere il Parlamento a non approvare quella definizione di prodotto editoriale che avrebbe poi portato alla condanna di Ruta e che viene spesso invocata nelle aule dei tribunali anche recentemente (l’ultimo caso è quello di PNBox ) la legge 62/2001 fu infine approvata da quasi tutto l’arco parlamentare con l’eccezione dei Radicali.
A oltre dieci anni di distanza da quella democratica inutile protesta Giulietti – colmo dell’ironia – cura un sito web che si chiama Articolo 21 nel quale continua ad occuparsi dei problemi della società dell’informazione. Giulietti e Chiti, quali estensori di quella legge, sono anche i responsabile di uno dei più considerevoli sprechi di parole della Internet italiana visto che, in virtù della loro definizione di prodotto editoriale, per molti anni gran parte dei blog italiani si sono visti costretti ad aggiungere una sorta di disclaimer di questo tipo:
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale
Google in questo momento mi dice che questa frase nella sua interezza è ripetuta sul web italiano circa 2 milioni di volte. Due milioni di frasi ridicole ed inutili per colpa di una legge dello Stato mal scritta.
Va poi ricordato che la sentenza in Cassazione di assoluzione di Ruta non potrà valere per nessun altro. In altre parole, pur avendo un peso (già in passato la Cassazione aveva mostrato simili orientamenti) non mette al riparo da simili pirandelliane vicende gli altri abitanti della penisola con il vizio della manifestazione del proprio pensiero.
Forse sarà per questo che l’On Giulietti oggi, con solo un decennio di ritardo, ha rilasciato una dichiarazione nella quale annuncia prossimi, non meglio definiti “provvedimenti abrogativi specifici” che impediscano il ripetersi di simili confusioni fra il diritto alla libera espressione e le prerogative delle imprese editoriali.
55mila persone dissero chiaramente undici anni fa all’on. Giulietti e all’on. Chiti che quell’articolo di legge era pericoloso e andava riscritto. I nostri bravi parlamentari se ne fregarono altamente, lasciando anzi trasparire un evidente personale fastidio verso questa inattesa ingerenza nella loro (in)competenza sulle cose della rete. Non vi è alcun dubbio, oggi come allora, che quell’articolo di legge debba essere cambiato, così come risulterebbe piuttosto evidente che, in una democrazia rappresentativa matura, certi nostri rappresentanti dovrebbero abbandonare le aule del parlamento per ritornare a dare il loro fattivo contributo nella società civile dalla quale provenivano.
Tutti gli editoriali di M.M. sono disponibili a questo indirizzo