Dal prossimo anno i cittadini finlandesi, perfino quelli eventualmente sperduti nelle tundre artiche, avranno diritto ad una connessione alla rete ad almeno 1 mega. Dal 2015 poi tutta la Finlandia garantirà ai suoi abitanti collegamenti a 100 mega. L’annuncio è dei giorni scorsi ed ha ovviamente scatenato grandi discussioni e polemiche anche a latitudini più basse di quelle scandinave.
Come accade sovente quando si trattano argomenti del genere, le tematiche che si sovrappongono sono molte e diversissime. In realtà gli obiettivi finlandesi sono in accordo con una progressione della portata dei collegamenti alla Rete che anche le Telco un po’ in tutta Europa hanno ipotizzato. Una prima fase di capillarizzazione della diffusione della larga banda seguita dalla costruzione di una rete di nuova generazione in fibra capace di prestazioni molto superiori a quelle attuali.
Vista dal pianeta Italia però, la situazione è più complessa. Lo scenario è noto e vale la pena riassumerlo in due parole: una famiglia italiana su due non ha un computer, gli accessi in larga banda utilizzati interessano un numero ancora più esiguo di cittadini, la copertura DSL del Paese, per ragioni orografiche note e per altrettanto note questioni politico-commerciali, non raggiunge al momento un numero abbastanza alto di cittadini (diciamo circa il 15 per cento).
Il panorama infrastrutturale non è insomma dei migliori e davvero non è il caso di fare paragoni con la Finlandia, un paese piccolo, ricco, con un parco tecnologico assai differente. Vale la pena invece di sottolineare un altro aspetto esiziale di questa vicenda: alludo alla questione culturale a margine della diffusione di Internet in Italia, che è – se possibile – di segno anche peggiore rispetto a quella della copertura del territorio.
Mentre molti analisti hanno accolto la notizia dell’ultrabroadband per tutti annunciato dalla Finlandia al grido di “che fine fa il mercato?”, il rischio palese per il nostro paese è quello di ragionare sempre e solo in termini di infrastruttura, disinteressandosi della “educazione civica” per l’accesso a Internet. Per molti anni, con un eccesso di entusiasmo, in molti abbiamo immaginato che Internet si sarebbe venduta da sola, che sarebbe bastato per la grande massa di “incolti digitali” accendere un computer, collegarlo alla Rete, per rendersi immediatamente conto della sua insostituibilità.
A quanto pare ci sbagliavamo. Accanto ad un “divide tecnologico” che tiene lontano dalla Rete cittadini che sarebbero interessati ad usufruirne con convinzione, esiste ed è ben chiaro, raccontato ormai da molte statistiche, un “divide culturale” che interessa una grande massa di italiani i quali, pur avendo accesso fisico alla rete, continuano a non percepirne scopi ed utilità. Si tratta di una marea di molti milioni di persone che per le più varie ragioni aderisce ad una idea di Internet lontanissima da quella comunemente accettata di motore della innovazione, della cultura, della comunicazione e delle conoscenza.
Per tutti questi cittadini gli 800 milioni di euro che il sottosegretario Romani continua da mesi a promettere (soldi destinati all’ampliamento della larga banda in Italia) sono un investimento sostanzialmente irrilevante. Sia ben chiaro: si tratta di soldi necessari e certamente insufficienti, così come tardivi e di retroguardia appaiono già oggi in questo paese i ragionamenti su come costruire una NGN che favorisca lo sviluppo del paese. Ma, fin da ora, a differenza di questo accade altrove in Europa, occorre prevedere anche altri strumenti, capaci di raccontare agli italiani l’utilità della Rete. Perché, paradossalmente, la distanza culturale da Internet è anche più difficile da colmare di quella causata dalle infrastrutture mancanti.
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