La norma europea è chiara e limpida. Nessun Paese può applicare una riduzione dell’IVA per servizi forniti per via elettronica. Difficile sostenere che un ebook non sia un servizio né che non sia fornito per via elettronica. Così, com’è nell’ordine delle cose, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nei giorni scorsi ha ribadito che Francia e Lussemburgo non possono applicare una tassazione ridotta sui libri elettronici, come hanno deciso di fare, unilateralmente, dal 2012.
È evidente che esiste una sola strada per opporsi ad un codice che prevede una tassazione differente per un libro in formato elettronico rispetto ad uno in formato cartaceo. E quella strada è cambiare la legge.
Fino ad oggi però quella direttiva l’Unione Europea non l’ha cambiata. Quanto alle ragioni di un simile strappo da parte dei due Paesi francofoni si possono fare solo ipotesi: il Lussemburgo è la sede fiscale di Amazon, il più grande distributore di libri elettronici mondiale, la Francia è la Francia, un Paese che storicamente ha sempre faticato a farsi imporre lezioni dagli altri.
E l’Italia? In tutto questo l’Italia cosa c’entra? Il nostro Paese alcuni mesi fa ha deciso di seguire il percorso scapigliato di Francia e Lussemburgo riducendo l’Iva sugli ebook a partire dal gennaio 2015 e aprendo il fianco a procedure di infrazione analoghe.
Il Ministro della Cultura Franceschini, supportato da una vasta campagna mediatica dell’Associazione Italiana Editori (una campagna abbastanza mimetica nei suoi intenti scatenata ad arte sui social network dietro all’hashtag #unlibroèunlibro) ha scelto la via breve: invece di modificare la legge europea (c’è stato nel frattempo anche il semestre di presidenza italiana) ha vidimato lo strappo, parificando l’Iva italiana sugli ebook a quella dei libri cartacei.
Sono seguiti tweet trionfali e populismo a chili, una pratica del resto assai facile quando le norma, come in questo caso, è palesemente ingiusta. Lo stesso automatismo comunicativo ha riguardato qualche mesi fa la campagna per tassare le grandi aziende Internet, la cosiddetta web tax, portata avanti sul suolo italiano con toni altrettanto epici dal parlamentare del PD Francesco Boccia. Un’iniziativa, poi disinnescata dal governo Renzi, che prevedeva, anche in quel caso, decisioni unilaterali di un Paese membro dentro sistemi fiscali basati su norme dell’UE molto complicate: inique, visto che nei fatti le grandi aziende USA pagano pochissime tasse, ma attualmente del tutto legali.
Qualsiasi scorciatoia che faccia guadagnare immediato consenso è buona e giusta tuttavia, una volta incassata la moneta spicciola del caso (il Ministro dalla parte dei lettori, l’Italia che si oppone alla legge ingiusta, i lettori italiani schierati a favore della cultura ecc ecc), resta da capire se simili scelte strategiche abbiano o non abbiano senso.
Nel caso dell’IVA sugli ebook gli interessi concreti dei lettori sono praticamente inesistenti per due differenti ragioni 1) perché gli editori tendono ad assorbire il beneficio fiscale lasciando immutati i prezzi al pubblico 2) perché nel frattempo gli italiani in 3 casi su 4 già acquistavano ebook in Paesi con regimi fiscali agevolati. Mentre dall’altro lato il rischio concreto è che – al netto delle lentezze burocratiche dalla UE – la violazione della norma comporti per l’Italia una multa salata che non pagherà Franceschini e non pagherà l’AIE. Un’idea potrebbe essere quella di proporre alla UE di pagare la multa in hashtag.
Ma se anche valesse la pena di pagare l’ammenda (per esempio qualcuno ha calcolato in Francia che i benefici fiscali supereranno la multa comminata dalla UE per l’infrazione), esiste una questione politica ben evidente e difficile da discutere: la battaglia per i principi è sacrosanta ma è anche causa di scorciatoie pericolose e superficiali. E dentro queste scorciatoie gli interessi dei cittadini sono davvero l’ultimo dei problemi. Contano invece visibilità politica, rendita di posizione di questo o quell’amministratore iperattivo, attività sotterranea di lobbying a tutela di interessi aziendali molto chiari.
Restano i pollici alzati dei lettori ingenui sui social network, quelli che pensano, come tutti noi, che un libro sia un libro sia quando è in formato elettronico sia quando è fatto di inchiostro e cellulosa, ma che non sanno o non vogliono sapere che le campagne mediatiche che sostengono hanno interessi differenti da quelli che a loro era sembrato.
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