A quanto pare la nuova interfaccia di Facebook non piace a nessuno. Un paio di settimane fa il social network californiano ha improvvisamente rivoluzionato l’aspetto e le funzionalità delle proprie pagine ed i risultati, in termini di gradimento, non si sono fatti attendere. Pur considerando la ben nota sindrome del web design, secondo la quale qualsiasi pagina tu modifichi un buon numero di utenti verrà subito dopo a dirti che “era meglio prima”, la platea di utenti arrabbiati per il nuovo look di Facebook ha superato ogni aspettativa. Fra borbottii e petizioni online è stata perfino creata una applicazione apposita dentro Facebook nella quale chiunque può esprimere il proprio giudizio sul restyling: allo stato attuale si registrano circa 1 milione di voti e 600.000 commenti: il 94% degli intervenuti ha trovato il nuovo aspetto del proprio social network preferito peggiore di quello precedente.
Visto che Facebook è ormai diventata una sorta di interfaccia sociale di tutta la comunità tale polemica ha scatenato negli Stati Uniti analisi e commenti anche sulla stampa generalista. Imputato principale di tutto questo can can è il nuovo newsfeed, un po’ da tutti considerato poco di più di una caotica lista della spesa nella quale è improvvisamente diventato molto difficile orientarsi.
In realtà le questioni in campo sono un po’ più complesse della semplice piacevolezza del layout e ovviamente riguardano ragionamenti di maggior sostanza, come per esempio ipotetici futuri modelli di business di Facebook ed anche il confronto con altre piattaforme sociali come Twitter.
E proprio a Twitter è evidentemente ispirato il nuovo newsfeed di Facebook. Twitter sembra essere diventata nel tempo per la compagnia di Mark Zuckerberg una sorta di piccola grande ossessione. Già alcuni mesi fa Facebook dichiarò pubblicamente la propria offerta di acquisto del sito di microblogging di Evan Williams e soci, offerta sdegnosamente rifiutata forse anche in relazione alla vaga consistenza economica della proposta. Del resto anche Twitter, che dopo un periodo di stanca ha ricominciato a crescere negli Usa con ritmi impressionanti e continua a raccogliere soldi dagli investitori senza aver ancora ben chiaro (esattamente come Facebook) come li restituirà domani, deve ancora immaginare quale sarà il proprio ruolo nel panorama dei network sociali.
Le reazioni del fondatore di Facebook Mark Zuckerberg alla rivolta del newsfeed sono, ancora una volta, sociologicamente interessanti. Zuckerberg è un ragazzo molto giovane, da qualcuno raccontato come determinato e volitivo, da altri dipinto come una canna in mezzo alla tempesta del suo enorme successo planetario. Sia come sia, le prime reazioni al disappunto dei propri utenti sono state quelle, comprensibili, di chi chiede calma e tempo per abituarsi al nuovo. Sul suo blog qualche giorno fa ha scritto un post intitolato: “Calma, respirate, vi stiamo ascoltando”. Ma gli utenti non devono avere avuto voglia di seguirlo nell’approccio yoga alla nuova interfaccia e la marea degli scontenti è andata continuamente ingrossandosi. Così, a quanto pare, alla fase della concertazione è seguita quella della rigidità e secondo Carnage4life nei giorni scorsi Zuckerberg avrebbe mandato ai dipendenti (anch’essi assai dubbiosi sulla nuova impostazione grafica) una mail interna nella quale afferma che “le compagnie innovative non ascoltano i loro utenti”.
Qui, benedetto ragazzo, occorre decidersi: Zuckerberg non è nuovo a fenomenali dietrofront su importanti scelte ideologiche della compagnia che dirige: dal “we simply did a bad job” pronunciato dopo il precipitoso ritiro di Beacon (la piattaforma pubblicitaria su Facebook che nelle menti dei suoi creatori avrebbe dovuto far quadrare i conti della compagnia e che invece violava qualsiasi anche minima norma sulla riservatezza) al recente passo indietro sul demenziale TOS proposto agli utenti di Facebook secondo il quale qualsiasi dato immesso nel network diventava di proprietà della compagnia.
Ovviamente chi non innova non sbaglia ma la strategia di Facebook fra indecisioni, decisioni affrettate e passi falsi sembra dettata più dalla teoria del caos che non da un chiaro disegno capace di trasformare un successo da 180 milioni di utenti in un prodotto capace di sostenersi economicamente con le proprie gambe.
Quello che è certo è che Facebook difficilmente diventerà il nuovo Twitter visto che quest’ultimo fa della leggerezza e linearità il proprio valore (ma anche il proprio limite) mentre la quantità di informazioni che gli utenti condividono su Facebook è di ben altra entità e richiede differenti prospettive e più complesse organizzazioni. Aggiungendo il mio inutile giudizio a quello del 94% degli utenti delusi direi che la nuova interfaccia di Facebook è peggio della vecchia ma i danni maggiori alla compagnia non sembrano arrivare dalle scelte di design del sito, che certamente sono importanti, ma dalla perenne ansiosa indecisione sulla strada da percorrere domani. Forse, come dice Zuckerberg le “disruptive companies” hanno l’obbligo di non ascoltare i loro utenti, quello che è certo è che gli utenti di simili compagnie (e non solo loro) vedono con chiarezza quando quelle medesime compagnie sono bloccate e indecise, paralizzate a metà del guado dalla propria improvvisa ed inattesa grandezza.
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