Fuorimoda
Il 27 settembre scorso il Consiglio dei Ministri presieduto da Silvio Berlusconi ha definitivamente approvato la legge finanziaria per il 2002 . Non esiste all’interno del documento alcun riferimento allo sviluppo tecnologico o ad Internet. E’ questo un evidente segno di continuità con le amministrazioni precedenti anch’esse attentissime nell’ignorare nei propri programmi lo sviluppo della rete in Italia. Con una piccola importante differenza: Internet e la new economy sono nel frattempo divenute fuori moda come certi calzoni a zampa di elefante nelle foto di trent’anni fa.
Le 3I
Fino a pochi mesi fa, quando parlare di tecnologia, e-government e new economy era considerato un punto irrinunciabile da qualsiasi forza politica, un segno di modernità e apertura mentale, il programma elettorale dell’attuale Primo Ministro poteva tranquillamente essere sintetizzato dai giornalisti come quello delle 3I: Impresa, Inglese e Internet.
In quel momento le forze del centro-sinistra in prossimità della scadenza elettorale malcelavano la loro invidia per un programma tecnologico, quello di Forza Italia appunto, assai ben strutturato ed esposto, seppur in gran parte mutuato da una serie di punti programmatici che il governo D’Alema si era dato senza riuscire poi a metterli in pratica.
Oggi simili esigenze di facciata paiono essersi del tutto azzerate, non solo nelle parole dei politici che avevano faticosamente mandato a memoria sigle come UMTS o parole astruse come Napster, inserendole con tempismo in ogni loro dichiarazione, ma soprattutto nell’interesse dei cittadini, assorbiti da questioni ben più vicine e pressanti. Quesiti come quello che in questi giorni si pone il Ministro della Salute Sirchia sulla opportunità, dati i tempi, di riprendere la fabbricazione del vaccino antivaiolo nell’ipotesi di un attacco batteriologico.
Potrà quindi suonare strano oggi sottolineare, per l’ennesima volta, la scarsa sensibilità tecnologica del governo e tuttavia crediamo vada fatto ugualmente. I punti caldi dello sviluppo tecnologico del paese, che sembrano oggi non interessare più nessuno, sono almeno tre.
-1- Il diritto all’accesso
Diritto all’accesso significa oggi qualcosa di differente rispetto a qualche anno fa. Il valore aggiunto che deve essere considerato non è tanto la velocità di collegamento quanto la sua temporaneità. Oggi ha senso parlare di “effettivo” collegamento a Internet solo se ci riferisce a collegamenti “always on”.
A questo si deve puntare, in questa direzione dovrebbero andare gli sforzi (e dio sa se ce ne sarebbe bisogno) della amministrazione. Che poi questo significhi rendere possibile l’accesso flat tramite rete analogica/isdn o portare l’ADSL fino ai piccoli comuni non è molto importante. Che si ipotizzi un accesso con modalità nuove come il satellite o il cavo o la rete elettrica, la specifica fondamentale perché Internet abbia ampie possibilità di fruizione è che sia “sempre accesa”, non solo nelle aziende (dove spesso è già così) ma anche nelle nostre case.
Oggi diritto all’accesso significa avere in casa un collegamento alla rete continuo a costi ragionevoli attraverso il quale utilizzare la posta elettronica, ricevere informazione, fare ricerche o acquisti sul web. La distanza fra questa esigenza e le attuali proposte in tal senso delle compagnie di telecomunicazioni non è amplissima: spetterebbe al Governo o alle sue Autorità colmarla in tempi brevi e con provvedimenti efficaci. E’ quindi necessario approntare (come più volte affermato dal Ministro Gasparri) la messa in opera di un sistema di tariffazione flat per Internet, con un attenta valutazione della sua remuneratività per gli operatori, indipendentemente dalle scelte commerciali di Telecom Italia.
Ove questa volontà mancasse, si potrebbe pensare ad incentivi economici per chi fornisce tale forma di accesso alla rete. Analoghi meccanismi di incentivazione potrebbero essere riservati anche alla diffusione della ADSL fuori dai grandi centri abitati. Se invece, come è accaduto fino ad ora, la logica privatistica dovesse continuare ad ostacolare l’accesso alla rete di larghe fasce di cittadini della penisola, non sembra esserci altra soluzione che il riappropriarsi, da parte dello Stato, della rete di telefonia fissa di Telecom Italia. Anche se passi del genere appaiono oggi, per colpa di scelte suicide fatte in passato, estremamente complessi.
Invece di straparlare di banda larga scimmiottando paesi ben più evoluti del nostro, il diritto all’accesso oggi sembra passare prima di tutto da una rete sempre disponibile per tutti. E passa anche – spiace dirlo – attraverso un atteggiamento di maggior rigore della amministrazione nei confronti degli operatori delle comunicazioni.
-2- E-government
Qualche anno fa uno dei commissari dell’Authority delle Comunicazioni, Paola Manacorda, disse che Internet in Italia non si sarebbe sviluppata fino a quando in rete non fosse stato possibile prenotare una visita alla ASL. Si trattò in quell’occasione della battuta infelice di chi parlava senza comprendere a pieno a cosa Internet potesse servire (all’Autorità TLC esiste abbondanza di individui con simili “incompetenze”) e tuttavia apriva uno squarcio su un problema, quello della burocrazia in Italia, che dallo sviluppo tecnologico potrebbe ricevere un impulso di cui ha assoluto bisogno.
Il chiodo fisso di Franco Bassanini, quello di fare della Pubblica Amministrazione italiana una creatura meno ingombrante, che assomigli a quelle degli altri paesi industrializzati, ha prodotto in questi anni lunghe discussioni, cospicui finanziamenti (più di mille miliardi da parte del passato governo D’Alema) e scarsissimi risultati concreti.
Uno dei compiti più stringenti che il Governo Berlusconi ha ereditato è quello di guidare la difficile messa in atto di un cambiamento che incontra ostacoli assoluti in un apparato burocratico monolitico e insensibile ad ogni modernità. Esistono finanziamenti e scadenze promesse per la messa online della P.A. Non sembra che ci sia in giro troppo interesse a vederle rispettate, se si esclude qualche tiepida dichiarazione del Ministro alla Innovazione Stanca.
-3- Computer e scuola
Anche qui buio assoluto. L’unico provvedimento concreto messo in campo dal vecchio esecutivo è stato quello del prestito d’onore per l’acquisto di un PC per gli studenti del primo anno delle scuole superiori. Si è trattato di un provvedimento di modestissimo impatto (lo Stato in pratica ha garantito le banche che hanno concesso prestiti di circa 1,5 milioni a tasso zero) raccontato ai media come una grandissima iniziativa.
A questo era poi collegata una iniziativa più ampia e interessante : quella del credito formativo destinato agli studenti che abbiano compiuto 18 anni nel 2001. Una cifra di 10 milioni di lire prestabile a 650.000 giovani italiani e spendibile fino al 2005, destinata all’acquisto di tecnologia ed al finanziamento di corsi di formazione online. L’iniziativa si è persa nei meandri di Montecitorio e non è chiaro a nessuno se e quando eventualmente verrà riproposta. Nella legge finanziaria non esiste cenno nemmeno a questo.
Se le 3I diventano 2
La scomparsa di Internet dai progetti economici a breve del governo è oggi, nella sensibilità comune, una piccola cosa. Al massimo può essere considerata un’arma da parte di chi, dall’opposizione, voglia sottolineare fin da subito una ritardo nella messa in opera delle promesse elettorali.
Le parole dei Ministri Stanca e Gasparri in ogni caso non bastano: quando si arriva alla resa dei conti appare lampante che saper valutare le possibilità di crescita consentite dalla tecnologia è un aspetto del “progettare politico” che continua ad esserci estraneo. E così, tristemente, le aspettative riposte rischiano di trasformarsi in bolle di sapone.
E il governo delle 3I, quello nuovo, moderno e scattante che durante il periodo pre-elettorale aveva commissionato a cinque grandi istituti di ricerca internazionali la ricetta per rendere l’Italia un paese al passo con l’Europa nell’uso delle nuove tecnologie, si candida nella nostra considerazione a trasformarsi in quello delle 2I: Inazione ed Incapacità.