Chissà se Lucio Dalla, dal luogo, speriamo confortevole, nel quale è volato ora, ha cambiato idea sulla rete Internet. Perché la sua morte, fra le mille altre cose, ha reso evidente un paradosso: quello del cantante più amato da tre generazioni che si è sempre tenuto a grande distanza dalla rete e dalle sue relazioni. Lo stesso cantante che oggi viene invece celebrato su Internet con una intensità e una partecipazione che non si erano mai viste prima.
In occasioni come queste la divaricazione fra quello che le persone raccontano e quello che i media riportano ritorna ad essere per una volta molto ampia. I media hanno utilizzato i propri codici espressivi usuali per descriverci l’eco popolare della morte di Dalla. Con le immagini e con le parole intanto: i fiori ed i messaggi davanti alla casa bolognese, le file di cittadini per accedere alla camera ardente, le interviste ad amici e colleghi più o meno noti. Nel ripetere questo esercizio, quotidiani e telegiornali è come se fossero impegnati a tracciare uno schizzo imperfetto di un universo di sentimenti e sensazioni che ognuno di noi ha invece oggi immediatamente davanti se accede alla rete Internet. Ovunque la Rete parla di lui.
Il giornalismo usuale prende un video in cui un Jovanotti stonato si riprende in auto mentre canticchia Disperato Erotico Stomp e ignora la marea di cose interessanti e cariche di senso che migliaia di persone che hanno amato Dalla hanno riversato in rete in questi giorni. Oppure organizza, come molti hanno fatto in queste ore, una galleria di cinguettii VIP dove Paola Saluzzi o altre star incontrastate staccano su Twitter le proprie prime parole una volta raggiunte dalla triste notizia.
Lucio Dalla, del resto, in Rete non c’è mai stato. Era probabilmente un uomo di un altro tempo, da un certo punto di vista si tratta di una scelta di alterità che gli fa onore. Nessun profilo su Facebook, nemmeno quelle pagine di plastica che le case discografiche organizzano di solito per raccogliere i plausi del fans, un sito web minimo , stropicciato ed inutile; di contro – va detto – una costante presenza del suo nome in tutte le raccolte di firme a sostegno delle scelte di retroguardia dell’industria discografica nei confronti di condivisione online e della pirateria dei contenuti musicali su Internet.
Un amore non ricambiato quello di Internet verso Dalla, perfettamente logico ed anche, contemporaneamente, forse un poco biasimevole.
L’Espresso ha avuto la bella idea di andare a ripescare e mettere online una famosa intervista che Giorgio Bocca fece all’artista nel 1979 dove Bocca a un certo punto forse coglie malignamente il punto:
Nel tuo rapporto con la folla c’è un carattere tipicamente bolognese: il bisogno della gente come bisogno di una platea, però camuffato da socialità. Il bisogno della Piazza Maggiore, del caffè, del circolo dei compagni ed il muoversi in mezzo a loro sapendo che sono degli infidi tagliagambe.
Il camuffamento della socialità forse è il paradosso di cui eravamo alla ricerca e che ci aiuta a spiegare alcune cose, compresi alcuni tratti del grande amore per il cantante che si è riversato su Internet negli ultimi giorni. Mille contributi differenti che oggi le persone esprimono direttamente, senza più il bisogno di identificarsi troppo nelle parole e nel cordoglio di qualcun altro.
Come sempre accade nell’immenso catino dei sentimenti riversati in Rete c’è di tutto, il banale e l’iperbolico, l’ovvio ed il pretenzioso; dentro un simile marasma si dovrebbe e si potrebbe scegliere. Scegliere e filtrare, scartare e condividere, una delle nuove frontiere del giornalismo ancora non abbastanza frequentata. Così fra le mille cose che ho letto in rete in questi giorni in occasione della scomparsa di un artista che anch’io come tutti ho amato molto ne cito una sola , fra le tante che mi sono piaciute. Sono certo che anche Lucio Dalla, dal luogo in cui è ora, potrà, per la prima volta, mettere un like :
Era primavera inoltrata, una domenica di aprile da finestre aperte. Il detersivo era Mastro Lindo, quello azzurro. C’erano le tende arancioni del nostro salotto anni ’70 che svolazzavano. Ero seduta per terra, sul tappeto, con la macchina di plastica rubata a mio fratello giocavano solo le mani, perché lo sguardo vagava per la stanza, poi si fissava sul rettangolo celeste e giallo e rosso mattone della finestra. Ogni tanto, fuori, passava una delle poche automobili che capitava di veder passare per la nostra strada non ancora asfaltata, e la polvere sollevata faceva diventare tutto mosso per un po’, poi tutto tornava al tempo paziente del pavimento che si asciugava. Sul tavolo accanto a me erano stese tre file di pasta sfoglia appena fatta – poco prima ne avevo mangiucchiato un angolo staccandolo con la bocca. Sulle sedie c’erano le palle di cristallo del lampadario, lavate e messe ad asciugare. Quando Lucio Dalla, dopo una pausa scricchiolante in cui c’eravamo solo io e la puntina col suo tocco esatto e dolcissimo, ha intonato “Chissà, chissà, domani…” un raggio di sole ha colpito il vetro della finestra che si era un po’ richiusa per una folata di vento, ha attraversato la stanza e ha colpito una palla del lampadario, che ha emesso un luccichio bianco, lungo”.
Daniela Ranieri
Massimo Mantellini
Manteblog
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