Roma – Puo’ una società che si occupa di monitorare il traffico su Internet, divulgando studi statistici poi ripresi da tutta la stampa nazionale, non avere un sito sul web? Fosse anche solo una semplice vetrina? Altrove certamente no, in Italia invece è possibile. La settimana scorsa tutti i giornali hanno riportato i risultati di una indagine statistica prodotta da una società di ricerche denominata Internet Monitoring . La ricerca – ci dicono gli articoli di stampa – eseguita seguendo 8 fra le più utilizzate chat del web italiano e intervistando circa 300 utenti, ha prodotto un dato che tutti i media nazionali hanno sottolineato con evidenza: “1/3 del campione intervistato chatta dal posto di lavoro” .
Per amore di abbondanza (ed anche, lasciatemelo dire, per consolidato vizio professionale) molti dei quotidiani e settimanali che hanno utilizzato i numeri della ricerca, hanno titolato: “1/3 degli italiani chatta dal posto di lavoro”. Lo hanno fatto Panorama
e Tiscali nei loro articoli sul web, La Gazzetta del Mezzogiorno , TgCom , MyTech e chissà quanti altri in rete e su carta. Quando un minimo di decoro sarebbe stato sufficiente per scrivere: “1/3 di quanti chattano lo fa dal posto di lavoro”. Il che è, ovviamente, tutto un altro paio di maniche.
Tuttavia, una volta citato questo spericolato utilizzo del “titolo-fandonia”, sport che deve piacere assai a molta stampa nazionale tanto da essere da tempo intensamente praticato un po’ a tutti i livelli, il san Tommaso di turno si chiede: questi numeri proposti da Internet Monitoring (durante un recente convegno romano dal titolo “Internet e la società virtuale”) saranno reali? Quali metodologie statistiche sono state utilizzate? Come è stato composto il campione? Secondo quali criteri sono state compilate le domande? O ancora: chi sono gli esperti che hanno pensato lo studio? Lo hanno fatto per scopi scientifici o commerciali? E se sì, per conto di chi?
In altre parole la domanda che mi faccio (e che nelle redazioni delle decine di giornali che hanno pubblicato la notizia si sarebbero dovuti fare) è: siamo di fronte ad una ricerca seria oppure no? Scienza o faciloneria? Sociologia applicata al web o malcelato protagonismo? Può una società che ha un sito web “in costruzione” essere considerata attendibile da tutti i media del paese ed i suoi dati riportati pedissequamente senza parlare di metodi, procedure e misurazioni?
Non so se questo sia il caso ma in Italia questo delitto di superficialità nel riportare presunte notizie è non solo possibile ma perfino frequente. Ne abbiamo avuto in passato decine di esempi. Esistono associazioni nate su Internet come Il Movimento Italiano Genitori o l’ Osservatorio sui Diritti dei Minori che sfornano su materie di loro (presunta) competenza comunicati stampa a raffica che tutti i giornali puntualmente riportano.
Organizzano convegni, i loro rappresentanti (spesso pochissime persone se non addirittura singoli individui) dopo qualche tempo diventano famosi, vanno in TV, vengono invitate ai tavoli ministeriali in veste di consulenti. Chi rappresentano? Non si sa. Quanti genitori italiani hanno per esempio incaricato il Moige di parlare per loro? Uno, dieci,centomila, qualche milione? Nemmeno questo si sa. O meglio: ai media questo dato sembra non interessare. Eppure sarebbe importante saperlo: è molto diverso dar voce ai rappresentanti di migliaia di persone o semplicemente alla voglia di emergere di alcuni.
La storia della comunicazione tecnologica italiana degli ultimi anni è anch’essa piena di episodi del genere, di statistiche improvvisate quando non totalmente inventate che hanno ottenuto vasta eco sui media senza il benchè minimo controllo. E che nella maggioranza dei casi hanno avuto effetti nefasti sulla percezione delle nuove tecnologie da parte della popolazione.
Per evitare che simili giochetti si perpetuino, gli istituti di ricerca statistica seria hanno da qualche tempo concordato un protocollo metodologico che garantisce la qualità dei sondaggi e che viene sempre preventivamente comunicato. Lo studio di Internet Monitoring risponde a questi dettami?
Come ogni ricerca che si rispetti, quella confezionata da Internet Monitoring produce, assieme a dei numeri sui quali, così come riprodotti dai giornali, è impossibile farsi una idea per oggettiva mancanza di dati, anche una morale finale che vale al pena di essere ricopiata:
“l’uso eccessivo (di internet), infatti, porta progressivamente alla distruzione della normale esistenza di un individuo, che rischia di venire assorbito totalmente dalla sua esperienza virtuale, rimanendone intrappolato”
Ecco, vedete? Pensavamo di avere a che fare con dei matematici e ci ritroviamo invece analizzati da splendidi moralisti. Che frequentano i convegni dei nostri politici, intervengono in qualità di esperti a raccontare le meraviglie e i rischi dell’uso della rete, forti del loro sito web “under construction”. Per una platea assonnata che il giorno seguente leggerà sui titoli dei quotidiani che milioni di italiani chattano dal posto di lavoro. Finendo poi, come è nell’ordine delle cose, per crederci.
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